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L'ex attaccante e direttore tecnico dell'Inter, Marco Branca, ha rilasciato una lunga intervista al quotidiano Repubblica. Protagonista nel ruolo di dirigente dal 2003 al 2014, durante l'era Moratti, l'ex nerazzurro ha commentato le scelte di mercato della società di Suning e la strategia dell'Inter, che punta su giocatori pronti: "Strategia giusta? Assolutamente sì. Lo scorso anno sono arrivati giovani molto interessanti come Barella e Sensi, ora è giusto cercare profili di maggiore esperienza. In questa stagione l'Inter ha una grande occasione per contendere il campionato alla Juve. Agnelli e i suoi dirigenti hanno fatto una bellissima scommessa a scegliere Pirlo. È un fuoriclasse e sono sicuro che farà bene anche in panchina, ma forse avrà bisogno di un periodo di adattamento. L'Inter deve approfittarne".
Immagina una corsa a due per lo scudetto?
"C'è anche il Napoli. Gattuso sta facendo un ottimo lavoro. Dipende da come saprà integrare i nuovi arrivi con il nucleo storico della squadra. Per le posizioni alte della classifica, poi, bisogna senz'altro tenere in conto la Lazio, da cui mi aspetto il solito ottimo campionato. E attenzione ai rossoneri".
Il sogno di mercato a centrocampo per l'Inter è Kanté. Un giocatore che davvero può spostare gli equilibri?
"Assolutamente. Corre per tre, è inesauribile. Ha sofferto un po' nel periodo di calcio a porte chiuse, ma per molte stagioni ha dimostrato di essere forte e versatile. Il meglio l'ha dato con Ranieri, ai tempi del Leicester. Sarri ha fatto un esperimento interessante, spostandolo più avanti".
Crede nell'idea che Messi possa un giorno andare all'Inter?
"Per operazioni così importanti, fino all'ultimo nulla è detto. Ma se lascerà il Barcellona, più probabilmente il prossimo anno, vedo avvantaggiato il Manchester City, dove incontrerebbe l'allenatore, il direttore tecnico e l'amministratore delegato del miglior Barcellona di sempre".
Antonio Conte chi le ricorda degli allenatori del suo passato interista?
"Sicuramente Roberto Mancini. Ha passione, partecipa emotivamente alle vicende della squadra, è un motivatore. Sono tratti di carattere positivi, che hanno il loro rovescio della medaglia. Come Mancini, Conte a volte si lascia trascinare in dichiarazioni e comportamenti che possono sembrare fuori dalle righe. Ma il valore di entrambi non si discute".
Conte ha qualcosa in comune con Mourinho?
"Sinceramente penso di no. Nessun allenatore somiglia a José. Programma tutto. Dal campo, alla gestione del centro sportivo fino alla comunicazione, è inattaccabile. Crea una corazza a protezione della squadra. Prende decisioni giuste con una velocità sorprendente. È stato un vero privilegio lavorare con lui".
Massimo Moratti dice che Mourinho è l'unico allenatore che non gli ha mai chiesto un calciatore, Quaresma a parte. Con lei, faceva i nomi dei giocatori che voleva?
"Pochissimi. E sempre con grande umiltà. Non ha mai puntato i piedi. Era convinto, e penso lo sia ancora, che un grande allenatore debba sapere vincere con i giocatori che ha. Ci segnalò Quaresma, è vero, e lo prendemmo. Mi parlò bene di Deco e Carvalho, che aveva allenato al Chelsea. Io gli dissi che avevo altre idee e lui non la prese male, anzi. José sa ascoltare".
Chi prendeste al posto di Deco e Carvalho?
"Lucio dal Bayern, per 5 milioni, visto che van Gaal non lo faceva giocare. E guarda caso, la finale di Champions la giocammo proprio contro il Bayern. E spendemmo 15 milioni per Sneijder, in rotta con il Real. E la finale si giocò poi a Madrid. Convinsi io Wesley a venire da noi, grazie a un espediente di cui non voglio parlare. È un mio piccolo segreto".
Se ci fosse stato il fair play finanziario, avreste mai potuto costruire la squadra del Triplete?
"Assolutamente sì. La facemmo tutta con i soli soldi della cessione di Ibra al Barcellona. E radunammo un gruppo ultra motivato. Milito e Thiago Motta volevano dimostrare di meritare un grande club. Eto'o, che inseguivo da anni, voleva dimostrare al Barcellona di essersi sbagliato a cederlo. Pandev arrivò dopo mesi di punizione alla Lazio, in cui non vedeva il campo".
Fu una rivoluzione.
"Cambiammo sei titolari quell'anno, trattenendo Zanetti, Maicon, Cambiasso, Stankovic. Vincemmo, pur rivoluzionando, perché avevamo una società che era solida, una mentalità vincente e soprattutto un grandissimo allenatore".
Quella del Triplete era una squadra mediamente anziana. Col senno di poi, pensa che l'anno dopo sarebbe stato il caso di vendere qualcuno dei senatori?
"Ragionare con il senno di poi non ha senso. Nel 2010/2011 arrivammo secondi dietro a un ottimo Milan, e vincemmo la coppa Italia. Poi, è vero, il ciclo finì. Moratti, il mio grande presidente, capì che il suo percorso all'Inter fosse finito, anche se non ne parlava. Io giunsi alla medesima conclusione, e fu doloroso. Quanto ai giocatori, nessuno dopo il Triplete voleva lasciare l'Inter. Ci sentivamo una famiglia. Ancor più che dalle vittorie eravamo uniti da dei valori sportivi e umani".
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