primo piano

Capello: “Italia, mi sono vergognato. Una cosa non accetto. Se Juve e Milan…”

Gianni Pampinella Redattore 
Intervistato dalla Gazzetta dello Sport, Fabio Capello è duro nei confronti dell'Italia di Luciano Spalletti: "Mi sono vergognato"

Intervistato dalla Gazzetta dello Sport, Fabio Capello è duro nei confronti dell'Italia di Luciano Spalletti. Gli azzurri sono usciti malamente dall'Europeo dopo una prestazione horror contro la Svizzera. "Mi sono vergognato, un po’ come quando da calciatore tornai dal Mondiale del 1974".

È così differente guidare una nazionale rispetto a un club?

—  

«Sono due mestieri diversi. Non a caso non si dovrebbe parlare di allenatore, ma di selezionatore. Il ct deve innanzitutto scegliere i giocatori sulla base di quello che vede nei campionati. Può avere una sua idea di calcio, ma deve anche ragionare su come i diversi elementi sono impiegati nella propria squadra e, a volte, adattarsi. Il motivo è semplice: non hai tempo per lavorare nella quotidianità. In un club tutti hanno chiaro in testa cosa fare e solamente in situazioni di emergenza ti capita di chiedere a un giocatore di cambiare».

 

Difatti Spalletti pareva volersi affidare alla difesa a tre come l’Inter campione d’Italia. Poi la retromarcia in Germania: è andato in confusione?

—  

«Per quello che si è visto in campo, credo che la confusione l’abbia generata soprattutto nei calciatori. Nel ruolo di play hanno giocato Jorginho e poi Fagioli, ma nessuno dei due è il Lobotka del Napoli di Luciano. Hanno caratteristiche diverse: contro la Svizzera Xhaka faceva quel che voleva, Fagioli non andava nemmeno a prenderlo. Io, però, per Spalletti userei un’altra parola».

Quale?

—  

«Presunzione. Ho avuto la sensazione che già contro la Spagna il ct non abbia pensato da selezionatore, ma da allenatore di club. In sostanza, ha mandato in campo una squadra dicendosi “noi siamo noi, loro sono loro, vediamo chi è meglio”, scegliendo la difesa a quattro contro i più forti esterni d’attacco di tutto l’Europeo. E l’abbiamo visto chi era meglio…».


La Svizzera non è però la Spagna.

—  

«Ma ha grande organizzazione e qualità nell’asse centrale: Sommer in porta, Akanji in difesa, lo straordinario Xhaka in mediana e il generoso Embolo in attacco. E soprattutto la Svizzera rispetto a noi mi è sembrata squadra, nel vero senso della parola: tutti disposti al sacrificio, si difende in 10 e si attacca almeno in 6».

 

Spalletti nel dopogara ha lamentato la mancanza di freschezza e condizione degli azzurri.

—  

«È un discorso che non accetto. Quello che non ho visto nell’Italia, piuttosto, è il gruppo. Il primo compito di un ct è proprio quello di creare lo spirito, che è fondamentale quando serve fare il metro in più per aiutare il compagno. Sono pochissimi gli azzurri che hanno fatto quella rincorsa in più, quello scatto deciso. Ecco, questa è la cosa che mi ha veramente intristito».

Quanto è colpa del selezionatore e quanto dei giocatori?

—  

«Bella domanda… È chiaro che Spalletti abbia grosse responsabilità. Poi, però, i calciatori devono avvertire il peso della maglia. Io un’Italia così non l’avevo mai vista. E mi faccia aggiungere un’altra cosa che non mi è piaciuta: si è spettacolarizzato tutto troppo. Parole, allenamenti, iniziative…».

Si riferisce al decalogo di Spalletti e alla riunione dei «Fantastici cinque» numeri 10 prima dell’Europeo?

—  

«Si è visto un po’ di tutto. Ecco, io sono più per la cultura del lavoro a fari spenti e del low profile».

C’è chi sostiene il materiale a disposizione sia quello che è...

—  

«Quando vedi che non c’è nemmeno un calciatore del Milan convocato o che contro la Croazia, nell’undici titolare, non trova spazio nemmeno uno juventino, un campanello d’allarme suona per forza. Se queste squadre non danno elementi per la Nazionale, abbiamo un problema».

Spalletti a caldo ha detto: «Non mi dimetto». Ma avrà la forza per ripartire?

—  

«Non posso giudicare la sua scelta, però sul futuro non sono ottimista. Ho il sospetto che Luciano sia un ottimo allenatore, ma al contempo debba molto migliorare come selezionatore. Così torniamo al discorso di partenza: sono due mestieri diversi».

(Gazzetta dello Sport)