Lunga intervista di Giovanni Carnevali, amministratore delegato del Sassuolo, ai microfoni di Radio Serie A: si parla anche di Marotta
Lunga intervista di Giovanni Carnevali, amministratore delegato del Sassuolo, ai microfoni di Radio Serie A. Si parte dal tifo del padre per l’Inter: “Il mio idolo? Mio papà tifava Inter, io simpatizzavo, amavo il calcio, ma non avevo idoli. Che Milano era quella della mia gioventù? Io amavo lo sport, per me c'era solo quella passione. Erano anni in cui c'era anche un po' di politica all'interno del nostro mondo, ma io ne sono sempre stato fuori. Anni in cui la passione per il gioco era forte: giocavamo ogni pomeriggio, organizzavamo partite ovunque e aspettavamo la domenica per seguire quelle vere. In quegli anni ho avuto una proposta da parte della Salernitana, ma rifiutai perché volevo cercare di fare qualcosa di diverso. Per me era gioco e divertimento, ero conscio dei miei limiti, sapevo dove sarei potuto arrivare come calciatore. Avevo 25 anni quando dissi no alla Salernitana: in quel periodo avevo gli studi da portare avanti e stavo bene con la mia famiglia. Tante cose non succedono per caso: rinunciai ad andare a Salerno e arrivò la proposta di acquistare una società con mio papà, è stato destino. In quella società io ero vicepresidente, mio padre presidente, ma quello che lavorava ero soprattutto io: in una società di dilettanti trovi tanti allenatori che lo fanno per passione. La mia fu una scelta diversa: cominciai a prendere allenatori e ragazzi giovani che conoscevo, presi un pullmino, un osservatore che visionasse i ragazzi negli oratori. Non ho mai avuto l'obiettivo di diventare dirigente: volevo capire il mio futuro. Ognuno di noi ha una famiglia che tramanda il proprio lavoro: i miei erano commercianti e sono nato all'interno dei loro negozi, ho assistito al percorso di crescita fino a vederli diventare imprenditori. Da loro ho imparato l'arte del commercio, i sacrifici che si devono fare. Avevo un negozio di elettronica, ho iniziato dai magazzini facendo consegne da ragazzo, diventando poi un venditore nel negozio: capivo che poteva diventare qualcosa di più”.
MAROTTA - "Dall'acquisto della società in poi è stata una continua presa di coscienza delle difficoltà che ci possono essere: dai dilettanti si impara molto, è un mondo che mi affascina. Un giorno mi chiamò Giuseppe Marotta appena arrivato al Calcio Monza, aveva acquistato due ragazzi dalla nostra società. Andai a Monzello e con lui è nato subito un bel feeling, lo conoscevo come dirigente e lui mi conosceva come giocatore. Una delle prime cose che gli dissi fu: "dei due ragazzi che avete preso ce n'erano di più forti, ma è rimasto un giocatore che è il più bravo di tutti". Era il diciottesimo che nessuno aveva scelto, Marotta mi diede fiducia e lo prese. Io gli risposi: "Direttore, questo glielo regalo". Quel ragazzo fu poi l'unico ad arrivare in Serie A: Fabio Cinetti. Da lì è iniziato un rapporto di fiducia, è stato un maestro. C'è sempre stata grande stima, abbiamo lavorato insieme in diverse squadre. Ho imparato tanto da lui, dal punto di vista sportivo ma anche gestionale e di marketing. Il nostro è un rapporto di amicizia ma anche di litigi durante le trattative, perché poi ognuno fa gli interessi del proprio club. È capitato di litigare, parlando di giocatori ambiti da altre società per i quali si discuteva e non si riusciva a trovare un accordo. Se abbiamo mai litigato per Domenico Berardi? C'è stato un interesse per il giocatore quando Marotta era alla Juventus, avevamo trovato un accordo ma Berardi fece una scelta diversa: non fu una rinuncia ai bianconeri, ma una volontà di rimanere al Sassuolo provando a giocare per qualcosa di importante. Sono sempre felice se un giocatore importante rimane con noi, mi dispiace quando c'è una cessione perché sono giocatori a cui ci si lega. Tornare a lavorare con Marotta? Sarebbe fantastico lavorare insieme, può darsi, dipende da cosa farà lui in futuro. Mi piacerebbe, da lui c'è sempre da imparare. Marotta Presidente della FIGC? È un grande manager e un grande politico, potrebbe essere un ruolo perfetto per lui perché conosce le problematiche del nostro mondo. Lui ha tutte le capacità per ricoprire qualsiasi ruolo".
CESSIONI FRATTESI E LOCATELLI - "Ci sono due calciatori a cui mi sento particolarmente legato, Davide Frattesi e Manuel Locatelli. Sono due ragazzi che ho cercato di accontentare nel momento della cessione. Il lato economico di una cessione è importante, ma non determinante. A esempio, Locatelli voleva andare assolutamente alla Juventus, noi lo abbiamo accontentato pur rinunciando sotto l'aspetto economico perché c'era l'interesse di un'altra società, l'Arsenal. Il soprannome "Scansuolo"? Non ci conoscono, tante volte si è pensato facessimo affari con la Juventus, ma non era così. A esempio, abbiamo fatto più trattative con la Roma che con altre squadre, abbiamo preso tanti giovani da loro. Era un detto iniziale come se ci fosse un legame particolare tra Sassuolo e Juventus, ma noi abbiamo la fortuna di avere un buon rapporto con tante società".
OFFERTE DA ALTRI CLUB - "Per me Sassuolo è un grande club, è chiaro che poi con il tempo potrà nascere qualcos'altro. È vero che ho avuto delle richieste, ma le ho ricevute nel momento in cui il Dottor e la Dottoressa Squinzi non stavano bene. Onestamente non mi sono sentito di prenderle in considerazione, per me non poteva essere accettabile, pensavo che sarebbe stata una pugnalata per loro. Chi mi voleva tra Juve, Milan o Inter? Potrebbe essere una di queste tre, per non dire una bugia non si dice nulla. Favola finita a Sassuolo? È impossibile che questa favola possa finire, Sassuolo è una società che in questi anni ha lavorato sempre guardando il risultato, ma anche facendo crescere una squadra di calcio: il progetto Sassuolo va avanti. La società ha uno stadio di proprietà, ha fatto un grande sforzo nell'acquistarlo e nell'abbellirlo, oltre che aver creato un centro sportivo dove si allena la prima squadra maschile, quella femminile e anche tutti i ragazzini. Sono state realizzate tante belle cose, parliamo di una società che oggi è gestita da persone che hanno tante competenze e una grande voglia di fare bene. Chiaro che il risultato sportivo conta, ma i momenti di difficoltà li hanno passati tutti. Non possiamo fermarci ma dobbiamo avere lo stesso pensiero che aveva il Dottor Squinzi: "Mai smettere di pedalare"".