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Condò: “Ibra su Lukaku ha fatto trash-talking: è sleale e vigliacco. Due domande”

L'analisi del giornalista su quanto accaduto martedì sera

Marco Astori

Tra le pagine dell'edizione odierna di Repubblica, Paolo Condò, noto giornalista, ha detto la sua in merito alla pesante lite tra Romelu Lukaku Zlatan Ibrahimovic durante il derby di Coppa Italia di martedì sera: "Quello che Ibra ha fatto a Lukaku nel derby di coppa Italia ha un nome molto preciso: si chiama trash-talking , ed è un metodo - largamente diffuso nelle competizioni di vertice, e spesso anche nella partite di calcetto fra colleghi - per innervosire l'avversario portandolo a sbagliare, a reagire, a farsi espellere.

I professionisti del settore, e Ibra certamente lo è, memorizzano le informazioni che possono tornare utili, quelle che rivelano i punti deboli degli avversari: la storia dei riti voodoo è una cretinata tirata fuori dal proprietario dell'Everton per giustificare agli azionisti il fatto che Lukaku all'epoca se ne fosse andato anziché prolungare il suo contratto. Romelu si adirò molto per la falsità, e di quella rabbia ovviamente è rimasta traccia in rete: chi vuole provocarlo, sa dove colpire.

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Oltre a questa carineria, Ibra gli ha tirato addosso pure la storia dell'asino (donkey) che a Manchester tormentava il belga in due sensi: uno riguardava i suoi limiti tecnici, l'altro era appunto un doppio senso. Ce n'era d'avanzo per farlo reagire (e infatti Lukaku è partito con insulti e minacce) fidando nel fatto che l'arbitro non conoscesse l'intera storia, e dunque notasse la reazione assai più della provocazione: che poi è l'esatto obiettivo degli "artisti" del trash-talking.

A questo punto, due domande e due risposte. 1) C'era del razzismo nella miccia accesa da Ibra? No. Semmai del classismo: sei un seguace del voodoo, quindi un selvaggio. Fra l'altro Zlatan, che ha vissuto un'infanzia paragonabile per complessità a quella di Lukaku, ha precisato ieri che il suo intento non era razzista. Certo, potrebbe averlo fatto per allontanare da sé il rischio di una squalifica; ma lo svedese non è mai stato un ipocrita. 2) Allora quel che è successo può essere considerato normale, una "cosa da campo" e basta? No.

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Il trash-talking è un espediente sleale e vigliacco per trarre un vantaggio indebito, e se l'arbitro avesse capito meglio quel che si stava svolgendo davanti ai suoi occhi avrebbe dovuto espellere entrambi i giocatori, calcando poi la mano nel referto più sul provocatore che sul provocato. Chiarito questo, sarà bene ricordare che non viviamo in un mondo di panna montata, e che anche i nostri eroi hanno dei difetti. Ricordate l'ondata di melassa con la quale abbiamo accolto The Last Dance? Beh, nell'epopea di Michael Jordan erano raccontati diversi episodi di trash-talking - lui era un maestro - e ci eravamo sbellicati dalle risate.

Con grande commozione abbiamo appena ricordato il primo anniversario della scomparsa di Kobe Bryant, che oltre a essere il campione e la persona meravigliosa che sappiamo, era famoso anche per il modo in cui brutalizzava verbalmente avversari e pure compagni. La differenza è che dei Bulls e dei Lakers non ce ne frega niente - ci teniamo solo l'ammirazione incondizionata per le loro star - mentre se indossi la maglia di un club della nostra quotidianità sei innocente o colpevole a seconda di chi tifiamo. Non va bene", ha concluso.

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