È l'emergenza coronavirus l'argomento principale dell'intervista che Roberto Gagliardini ha rilasciato a Tuttosport. Il centrocampista dell'Inter parla della sua Bergamo, una delle città più colpite dal virus e spiega cosa ha provato quando ha visto la colonna di camion dell’esercito portare vie tante bare: "È stato un impatto forte, uno schiaffo che colpisce e ti fa pensare. Tanti amici e amici dei miei amici stanno piangendo i loro cari. Ed è terribile pensare che in quelle bare ci possa essere qualche nonno o un parente di una persona che conosco. In questo dramma, l’unica fortuna è che nessuno dei miei famigliari è stato toccato dalla malattia e questo, quanto meno, mi dà un po’ di serenità".
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Coronavirus, Gagliardini: “Prese decisioni forti ma giuste. Quando tutto sarà superato…”
La lunga intervista rilasciata dal centrocampista a Tuttosport
“Bergamo Mola mia” è uno slogan che rispecchia lo spirito della città?
«“Mola mia” è una delle frasi che impari subito quando sei a Bergamo. Il fatto di saper lottare, di non arrendersi fa parte della genetica di noi bergamaschi. E, in un momento come questo in cui la città è piegata per questo virus, è importante cercare di guardare comunque il futuro in modo positivo, nonostante le nostre difficoltà siano evidenti».
Cosa l’ha più colpita in questi giorni di lutto?
«Il fatto di non capire perché nella bergamasca ci siano stati così tanti ammalati e tanti morti».
Lei che risposta si è dato?
«Nessuna, sono fatalista: è toccato a noi, ma noi siamo belli testardi, abbiamo una cultura del lavoro che accomuna tutti e riusciremo a superare anche questa battaglia».
Bergamo significa Atalanta, il club dove lei ha iniziato a giocare nei pulcini a 7 anni fino ad arrivare in prima squadra. Una società che brilla di luce propria nonostante sia a una cinquantina di chilometri da Milano. Lei che l’ha tatutata nel dna, ci spiega qual è la diversità di Bergamo e dell’Atalanta?
«Se sei di Bergamo, non puoi non tifare Atalanta anche perché quella maglia ti viene regalata quando nasci grazie all’iniziativa del presidente Percassi. Oggi la squadra è in Champions, ma il senso di appartenenza era lo stesso quando giocava in Serie B. Ho detto che il bergamasco è testardo, ma è anche visceralmente attaccato alla sua terra».
In tempi di virus, quando suona il telefono, cosa le passa per la mente?
«Non dico che sia angosciante, ma preoccupazione c’è. Non potrebbe essere altrimenti, quando senti cosa ti sta succedendo intorno».
Com’è la sua giornata tipo?
«Mio figlio Tommaso mi dà molta serenità. Tra poco compirà otto mesi e, tra allenamenti, ritiri e partite, mai ero riuscito a godermelo per un po’. Stare con lui ogni giorno è uno spettacolo: è una gioia pazzesca vedere, insieme alla mia compagna Nicole, come cresce, cosa impara e i cambiamenti che fa».
Lei in questi giorni è confinato a Milano. Che effetto le fa vederla così deserta?
«Tutto fermo, immobile... Da non crederci. Il rumore delle ambulanze che passano ci fa però capire che stiamo vivendo un momento unico nella storia. Sono state prese decisioni forti, non facili, ma giuste».
Mancini ha proposto un’amichevole tra la Nazionale e i medici.
«Sarebbe una bella iniziativa. Anche perché, una volta passato tutto, andrà anche ritrovata un po’ di spensieratezza e leggerezza. E pure una partitella può aiutare a capire che tutto è ritornato alla normalità».
Il rinvio dell’Europeo nel 2021 le dà un obiettivo in più per ripartire?
«Quello sicuramente, però non penso sia ancora il tempo per parlare di Europei e di Nazionale. Siamo in una fase delicata: in tanti mettono a rischio la loro vita solo lavorando e ogni altro discorso va oggi messo da parte».
Tra le immagini legate al calcio in tempo di Coronavirus c’è quella di Juve-Inter senza tifosi.
«Giocare senza pubblico è particolare, ma questo è ormai passato: ora bisogna pensare soltanto a uscirne, a impegnarsi per il prossimo facendo beneficenza: io, in tal senso mi sono mosso per l’Ospedale Papa Giovanni di Bergamo perché so in che condizioni sono costretti a lavorare e perché lì ho tanti amici. Non è importante la somma, ma basta anche un gesto».
In questi giorni, sembriamo tutti un po’ migliori, non crede?
«Sì, è aumentata la solidarietà tra le persone: nel nostro condominio, per esempio, abbiamo fatto una chat e ci si industria per aiutare chi è più anziano e ha difficoltà ad andare a fare la spesa».
Cosa resterà di questa pandemia?
«Quando tutto sarà superato, cambierà la visione su tante cose e forse saranno migliori anche i rapporti tra persone che non si conoscono. Lo spirito solidale che sta animando gli italiani in questi giorni dovrà continuare anche quando l’emergenza sarà passata. E poi andrà analizzato con calma quanto è successo per capire se ci sono stati errori e cosa si può fare per riuscire a prevenire lo scoppio di un’altra pandemia».
Roberto, qual è infine il messaggio che vuole rivolgere alla sua Bergamo?
«Sempre “Mola mia”. In questi momenti di difficoltà, altre parole non hanno valore. La mia città ne uscirà alla grande e sono convinto che riuscirà comunque a trarre il meglio da questo periodo tanto buio».
(Tuttosport)
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