Hernan Crespo, nell'intervista rilasciata a David Trezeguet per il programma "Vita da bomber", ha parlato della sua carriera e anche dello sbarco all'Inter. Ecco le sue parole:
primo piano
Crespo: “Preso dall’Inter all’improvviso. Vieri mi accolse come un fratello. Al Milan…”
L'ex attaccante nerazzurro ha parlato in un'esclusiva concessa a Trezeguet e ha raccontato il suo approdo a Milano, la prima e la seconda volta
IL RIVER - “La mia vita lì è cambiata vertiginosamente. Sono entrato nel River a 7 anni e fino a 16 sono stato un eterno panchinaro. Poi sono diventato titolare e ho fatto 23 gol in 18 partite: subito mi hanno portato in Prima Squadra. E quello è un cambio epocale, ti sconvolge tutto il mondo. Passi dall’andare a scuola a passeggiare con la gente che ti riconosce. Sei nello spogliatoio con i giocatori che vedevi solo in tv. All’inizio non avevo la macchina e mi veniva a prendere Goycochea, una leggenda del calcio argentino. E’ stato bellissimo, mi accorgevo che giocavo bene ma avevo sempre un po’ di timore referenziale verso gli altri. L’allenatore in seconda del River mi disse che senza i gol non avrei fatto carriera e a me segnare veniva naturale. Ero giovane ma ero già professionista nella testa. Una volta dopo una doppietta al Racing, Passerella mi tolse e tutto il pubblico fece la standing ovation. In sala stampa dissi che forse mi aveva tolto per gli applausi. Alla ripresa degli allenamenti il mister e il suo staff mi chiamarono nel loro ufficio e me ne dissero di tutti i colori. Io avevo fatto una battuta senza malizia ma non sapevo come chiedere scusa. Imparai a volare basso”.
IL PARMA - “Avevo una grande voglia di venire in Italia. Il Parma era una realtà piccola ma in quegli anni stava scrivendo la sua storia: era la squadra giusta. Non parlavo neanche una parola di italiano e all’inizio non è stato facile. In panchina c’era Ancelotti, alla prima esperienza in Serie A, ma i primi sei mesi furono terribili per noi, eravamo quartultimi a dicembre e con un calendario difficilissimo. L’ultima prima di natale dovevamo affrontare il Milan e poi la Juventus alla ripresa del campionato. Riuscimmo a vincere entrambe le gare e alla fine arrivammo secondi dietro ai bianconeri. Per me fu un inizio difficile, appena toccavo palla mi fischiavano tutti. Ma io non ho mai mollato, avevo tanta voglia di dimostrare il mio valore: nel girone di ritorno segnai 11 gol e da lì partì tutto”.
LA LAZIO - “Per me c’era qualcosa di più familiare. Appena sono arrivato abbiamo vinto la Supercoppa contro l’Inter ma poi mi infortunai. Poi la squadra era un po’ appagata per lo Scudetto vinto l’anno prima e abbiamo regalato i primi mesi. Eriksson andò via, arrivò Zoff che propose il 4-4-2 con me e Salas in avanti e lì iniziai a fare gol a raffica, diventando capocannoniere. Purtroppo lo Scudetto svanì a tre giornate dalla fine con il pareggio contro l’Inter per 1-1 ”.
LA FOLLIA - “Stavo con Veron in hotel e non uscivamo mai dopo gli allenamenti. Una volta gli dissi di portarmi a fare un giro per vedere la città, io uscì vestito da turista lui si coprì per non farsi riconoscere. Mi sembrò un pazzo ma poi vidi che più camminavamo più avevamo gente dietro di noi, una folla. A un certo punto ci siamo dovuti rintanare dentro un negozio e hanno chiamato i carabinieri per riportarci indietro. Da quella volta, a Roma, sono sempre andato in giro di sera e in macchina”
ALL'INTER - “Fu una cosa strana. Ero ancora in biancoceleste e la sera dovevamo giocare contro la Juve in campionato: la mattina Nesta mi disse che l’avevano venduto al Milan e il pomeriggio il mio procuratore mi chiamò improvvisamente dicendomi che mi avevano venduto all’Inter. Nesta stava malissimo e il giorno dopo era in programma un’amichevole proprio tra Milan e Inter. Noi, spaesati, andammo a San Siro insieme e poi ognuno si diresse sotto la propria curva: in quel momento il mondo del calcio capì le difficoltà economiche della Lazio. All’Inter arrivai da capocannoniere e lì mi aspettavo da Vieri una certa diffidenza, essendo lui il centravanti principe della squadra. Invece mi aprì le porte come un fratello, era contento perché la squadra si era rinforzata”.
IL MILAN E ISTANBUL - “L’impatto con lo spogliatoio rossonero è stato forte. C’erano Maldini, Gattuso, Shevchenko, Seedorf, Pirlo. Era una grande famiglia, ovunque ti giravi c’era un Pallone d’Oro. La sliding door della mia esperienza al Milan è stata la finale di Champions a Istanbul. Indossare la maglia di Van Basten era un sogno fin da bambino, figuriamoci in una finale. Faccio due gol, poi segna anche Maldini: era tutto perfetto. Poi sono arrivati quei sei minuti. La delusione è stata enorme. Sono uscito e mi sono messo dietro le telecamere per vedere la consegna del trofeo perché non ci potevo credere. E’ stato terribile”.
IL CHELSEA - : “Mi ero stancato di arrivare sempre secondo, al Parma, alla Lazio e poi al Milan. Sono andato al Chelsea un po’ per dimenticare la batosta col Milan e un po’ in preparazione al mondiale del 2006. E andò bene: abbiamo vinto la Premier, la Community Shield. Poi il ritorno all’Inter dove ho vissuto un’avventura vincente: è stato stupendo vincere quegli Scudetti”.
MESSAGGIO AI GIOVANI - “Di approcciarsi con passione al calcio perché quando si ha tanta passione i sacrifici non pesano. In Argentina si dice che l’esperienza è un pettine che ti danno quando rimani pelato ma io rifiuto questa cosa, io non voglio diventare pelato. Voglio usare il mio pettine per gli altri”.
(Fonte: Premium calcio)
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