A tutto Sebastiano Esposito. L’attaccante di proprietà dell’Inter, in prestito al Basilea dalla scorsa estate, ha rilasciato una lunga intervista a Cronache di Spogliatoio. Ecco le principali dichiarazioni del baby attaccante, che è ripartito dalla Svizzera dopo le difficili esperienze in Serie B con le maglie di Spal e Venezia. “Perché vi scrivo dalla Svizzera? Ci arriviamo. Ma in quel giorno di agosto, quando ho segnato al Sion, non ho avuto dubbi. Dopo essermi preso l’abbraccio dei miei compagni, ho alzato la cornetta del telefono: «Pronto, c’è qualcuno?». Ho esultato così per ricordare tutti i falsi amici che ho avuto in passato e che non dimentico. Ci sono stato abbastanza male: quando tutto era nero, dopo il periodo in nerazzurro, avevo bisogno di qualche chiamata, messaggio. Niente, silenzi. Stavano con me solo perché ero «Esposito dell’Inter», un ragazzino di 17 anni che non capiva”.
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Esposito: “Al Basilea sono rinato. Inter un sogno, Conte fenomeno e Lukaku…”
A tutto Sebastiano Esposito. L’attaccante di proprietà dell’Inter, in prestito al Basilea, ha rilasciato una lunga intervista a Cronache di Spogliatoio
[…] Sono andato fuori da casa che ero un bambino. Da Castellammare a Milano. Ora sono a Basilea e la mia famiglia vive da anni a Brescia: il peggio è passato. All’inizio c’era paura, com’è giusto che sia. Ho fatto una scelta coraggiosa, difficile in questa fase della carriera. Sono venuto fuori in poco tempo. Un botto concentrato in qualche mese. Vi scrivo dalla Svizzera perché a giugno ho ricevuto tantissime richieste, non lo nego. Serie A, Serie B, poi mi hanno raccontato che mi volevano qui. Mi ha chiamato il Direttore Sportivo, poi il Presidente, infine l’allenatore. In Italia te lo sogni. Mi hanno fatto sentire desiderato: «Vieni, abbiamo totale fiducia. Ma se non dimostri in campo sei fuori. Ci piacerebbe metterti trequartista nel 4-2-3-1, ti va?». Questo è tutto quello di cui ha bisogno un giovane: stima, costanza, patti chiari, strigliate. E soprattutto hanno voluto inserire il diritto di riscatto: se l’Inter non mi controriscatterà, diventerò l’acquisto più oneroso nella storia del Basilea. Capite? Mi godo l’affetto dei tifosi. Il campionato mi piace, ci sono anche vecchie glorie come Gaël Clichy e Holger Badstuber”.
Esposito ha poi motivatola sua scelta, quella di vestire la maglia del Basilea: “Dopo l’Inter era iniziata una discesa. Alla SPAL mi è crollato il mondo addosso. Siamo passati velocemente da tutto a niente: «Cavolo, affrontavo il Barcellona e ora sto a sedere in Serie B». Ho iniziato a imputarmi colpe, guardando con distacco la realtà in cui ero. A Ferrara stavo benissimo. La città era stupenda e lo erano pure i tifosi. Qualcosa non mi tornava. Non era per le pressioni, sicuramente mi aspettavo di più da me stesso. Iniziai a pensare che l’80% dei problemi derivasse da me, ma che quel restante 20% fosse da imputare a qualcun altro. Non sono mai stato uno di quelli che molla subito, però quando quello che temevo si realizzava, allora mi guardavo allo specchio e mi convincevo che non era tutta colpa mia. Sono andato avanti, passando al Venezia, e siamo stati promossi in Serie A. La festa è stata folle. Incredibile”.
Prima di soffermarsi su ex compagni e non solo, partendo dal rapporto con Lukaku: "Incredibile è stata anche la prima volta in cui ho parlato con Lukaku. Era la tournée estiva dell’Inter, nel 2019, e lui era ancora nel Manchester United. Ci sfidiamo in amichevole e a fine partita, quando lo incrocio fuori dagli spogliatoi, gli dico «Ciao Romelu». Mi sorride e risponde: «Ciao Seba». Ho passato intere ore a capire come diavolo facesse a sapere chi fossi. Io aggregato dalla Primavera, lui sapeva il mio soprannome. [...] Ho avuto un rapporto sincero e diretto con lui, qualsiasi cosa accadesse, mi difendeva. Quando sbagliavo, invece, si incazzava da morire. Lui odia perdere, anche in allenamento. Giocavamo in coppia, mi arriva una palla sul secondo palo e Padelli me la para. Rom si gira e mi caccia un urlo pazzesco, cerco di difendermi spiegando che «ho sbagliato un gol, non è morto nessuno…». Non lo avessi mai fatto. Mi fulminò con lo sguardo: «Ah, è questa la tua mentalità del cazzo?». Se mi avvicinavo un altro po’, probabilmente mi smontava. Resta il fatto che era un periodo in cui di partitelle ne vinceva poche. Quando accadeva, all’Inter ci prendevamo spesso in giro, facendoci scherzi. A lui, nello spogliatoio, appiccicarono sopra al nome «Lukaku» sull’armadietto la scritta: «Loser». Perdente. Non ho mai visto un pugno più forte di quello che tirò quel giorno contro l’armadietto. Era il numero uno".
E del rapporto con un attuale giocatore dell'Inter, Danilo D'Ambrosio: "Un’altra figura fondamentale, che definirei come fratello maggiore o secondo padre, è stata Danilo D’Ambrosio. Ho una foto insieme a lui il giorno del mio esordio in Europa League, e poi ce ne scattammo anche una dopo la partita per immortalare il momento. D’Ambro è sempre stato molto severo con me e lo ringrazio per questo. Mi ha aiutato a crescere. In una delle prime convocazioni mi presentai con un minuto di ritardo. Uno solo, ma non si fa. Entrando nello spogliatoio, mi presi uno schiaffo sul collo da Handanovic che ancora mi gira la testa. Danilo non mi parlò per un mese e mezzo. Pazzesco, vi giuro. Pazzesco. Gli parlavo, gli scrivevo, lo chiamavo. Niente, zitto. Un giorno arriva e mi fa: «Considera che è come se ti avessi presentato io a questa squadra, a questo spogliatoio. Ho garantito per te, e te mi ripaghi così? Mi hai fatto fare brutta figura». A quel punto, in silenzio ero io. Una persona da 10 e lode, mi ha sempre supportato anche da lontano: «Continua a lavorare, prima o poi l’inferno passa e arrivano le stelle». Lui ne è l’esempio, dopo aver sofferto e lavorato duramente ha vinto lo Scudetto. Tutto meritato".
Grandi meriti però Esposito li dà all'ex allenatore nerazzurro Conte: "Devo dire che anche mister Conte ha influito molto sulla mia mentalità. Un allenatore fenomenale. Se gli anni nella Prima Squadra dell’Inter sono stati indimenticabili, il merito è stato anche suo. Il gruppo era stupendo, la società anche. Tutto era armonioso. La sua capacità di entrarci nella testa è stata decisiva. Alla prima partita in Champions League, dopo l’inizio del primo campionato, pareggiamo 1-1 a San Siro segnando all’85’. Il giorno successivo entriamo in sala video, c’è un’atmosfera glaciale. Con una frase ci ha trasmesso tutto il suo valore, svoltando definitivamente quella squadra e ponendo le basi per un ciclo vincente: «Questi qua prendono molto meno di voi, ma hanno 5 volte la fame vostra. Venderei in questo istante la mia squadra per prendere la loro». Lì mentalmente ci è scattato qualcosa.
Quella full immersion nel calcio dei grandi mi ha regalato momenti di gloria. Il mio sogno nella mia Inter. Faccio l’Europa, esordisco e segno in Serie A battendo tutti i record. E dopo il primo gol, mentre esulto, trovo mia mamma a bordocampo e corro ad abbracciarla. Sinceramente, ho riguardato più volte lo scatto in Champions League che la rete al Genoa, ma ogni volta ho sensazioni diverse. Come se non riuscissi a rivivere quei momenti in prima persona.
Si erano create aspettative altissime. Mi faccio spazio fino a inizio febbraio. C’è Udinese-Inter, sono titolare ma non incido. Sbaglio una rete da pochi passi, ricordo ancora la parata di Musso. Se ci riprovo altre dieci volte, segno tutte e dieci. Poco dopo l’intervallo, entra Sánchez al mio posto e cambia la partita. Semplice: Alexis è un fenomeno. Fa quello che vuole, guadagna pure un rigore. Con quella prestazione mi gioco il derby della settimana successiva, sarebbe stato un sogno scendere in campo. Da quel momento, tutto in salita. Con qualche rimpianto, ma è chiaro che per vincere lo Scudetto, in quella fase, la quarta punta in rosa non potevo essere io".
(Fonte: Cronache di Spogliatoio)
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