"Con lui non si poteva criticare o parlare male dell’Inter: non lo sopportava". Intervistato dal Corriere della Sera, Gianfelice Facchetti racconta il rapporto con il padre, Giacinto. Un rapporto complicato inizialmente, ma che col tempo si è rinsaldato.
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Facchetti: “Con mio padre guai a parlare male dell’Inter. Calciopoli? Quando il suo nome…”
Intervistato dal Corriere della Sera, Gianfelice Facchetti racconta il rapporto con il padre, Giacinto
""Quando intorno ai vent’anni ho deciso di andare a vivere da solo — una scelta di crescita personale, non dettata da fratture con i miei — papà non la prese bene. E come faceva sempre quando qualcosa — una decisione, una novità — alterava il normale corso della vita quotidiana, si chiuse nel silenzio. Nonostante ci provasse, e ci ha provato tanto!, a volte non riusciva a dialogare. Gli ci voleva qualche giorno per metabolizzare il cambiamento, per digerirlo, e voltare pagina. Però i nostri contrasti, a volte anche forti, sono sempre stati leali. Ognuno di noi ha giocato con i propri pregi e difetti, ma ha sempre giocato pulito", ricorda Gianfelice. Racconta poi la sua uscita pubblica quando il nome del padre fu gettato nella mischia nello scandalo di Calciopoli: "Intervenni pubblicamente la prima volta quando il suo nome fu tirato in ballo senza alcun fondamento nello scandalo Calciopoli".
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""Ricordo un’infanzia molto bella, nella nostra casa con giardino a Cassano d’Adda, dove si era trasferito da Treviglio, suo paese natale, dopo il matrimonio con mia mamma, che abita ancora lì. Era sempre stato il suo sogno. Una casa che lo riportasse alle origini contadine, alla terra. Tant’è vero che tra una trasferta e l’altra non poteva fare a meno di tornarci, anche se per poco, e mettere i piedi su un suolo che sentiva profondamente suo".
"Al contrario di mia madre che sperava, quando avesse tolto la maglia nerazzurra e smesso di giocare, di andare con lui alla scoperta di altri Paesi. Invece, prima diventando dirigente con Pellegrini, poi presidente con Moratti, aveva continuato a essere molto impegnato, e così rimandava sempre la vacanza a un altro momento. Finché mia mamma ha iniziato a partire da sola".
"Quando lui, partendo mia madre per l’India, rimane per la prima volta a casa da solo per un mese. Prima mi venne a trovare a sorpresa nel bar dove lavoravo in corso Buenos Aires. Non era mai successo. Disapprovava il mio mestiere di barista. Il ricordo di quando lo vidi entrare ancora mi commuove. Nel bar, come sempre facevo per una sorta di protezione reciproca — mia e di mio padre —, avevo detto che non c’entravo niente con lui, che se mi chiamavo Facchetti era solo per una questione di omonimia".
"Così, quando la padrona gli chiese come mai mi conoscesse, papà rimase di sasso. Ma la cosa lo divertì. Poi, qualche giorno dopo, riuscii con uno stratagemma a mangiare da solo con lui, senza i miei fratelli. E da allora il nostro rapporto diventò adulto, a volte addirittura rovesciato nei ruoli; un rapporto di confronto aperto, di grande curiosità, stima e tifo per quello che facevo. Tanto che quando è mancato non erano rimaste cose in sospeso, non dette o non chiarite. Ma solo il dispiacere di non aver avuto altro tempo a disposizione".
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