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Intervenuto questa mattina a 'Deejay chiama Italia' programma radiofonico sulle frequenze di Radio Deejay, Gianfelice Facchetti figlio del compianto ex Capitano e Presidente dell'InterGiacinto, ha commentato la stagione sfortunata vissuta dalla squadra di Pioli: "Molto più appassionante fare altro che vedere questa squadra di morti in piedi. A me stupisce che manchi proprio l'etica del lavoro; non vinci lo scudetto ma cazzo corri, sei strapagato per far quello.
Mio fratello Luca va spesso allo stadio, io preferisco andare in montagna. Ci vado ogni tanto, quest'anno un po' meno. Quando si soffre così la voglia bisogna proprio andarla a cercare. Le parole e i discorsi si sono sprecati, si sono esauriti. Tutti i tifosi continuano a domandarsi quando ormai, a questo punto, le parole dovrebbero dirle i diretti protagonisti: quelli che scendono in campo, quelli che scelgono, quelli che decidono. C'è bisogno di amor proprio, non solo nei confronti dei tifosi ma uno dice ' è il tuo lavoro, lo devi fare...'. E' un lavoro privilegiato, fallo bene. Se manca italianità? Sicuramente! Un senso di appartenenza sicuramente manca. Manca chi è capace di farlo, sentire, trasmetterlo. Tutto questo può essere una spiegazione, non credo che basti, però, a spiegare un crollo come quello delle ultime settimane".
RICORDO PIU' BELLO DEL PADRE DA CALCIATORE -"Ce ne sono parecchie. Sicuramente, essendo maggio, penso la partita contro il Liverpool. La semifinale di ritorno del '65 di Coppa dei campioni, persero 3-1 all'andata ma al ritorno fecero 3-0 col terzo goal di papà su un'azione corale bellissima. Lui si allenava 24 ore su 24, c'era sempre un pensiero costante, magari anche praticando altri sport ma fino alla fine lui non ha mai smesso di correre. La cosa pazzesca era anche questa attenzione alla dieta: quando mangiavamo insieme al secondo bicchiere di vino me lo faceva notare sistematicamente. Mi controllava...e questa cosa, lui, l'aveva anche nei confronti dei giocatori: mi ricordo che Adriano quando arrivava al mattino in Pinetina veniva pesato. Adriano questa l'aveva capita come una cosa anche di amore e di preoccupazione. Uno che si prendesse cura di lui anche pesandolo...se pesi 100 kg non puoi scattare. Mio papà aveva un fisico molto moderno, in famiglia erano anche gli altri fratelli abbastanza alti, ma non così. Lui era sicuramente un segno di discontinuità, sia all'interno della sua famiglia che generazionale. Addirittura si raccontava che quando andassero all'estero con la nazionale, i tifosi stranieri dicessero che non fosse italiano.
Anche nel gioco è stato un rivoluzionario, Herrera lo ha impostato ma questo era già nella sua indole. E' stato indeciso tra l'atletica e il calcio, mio nonno era ferroviere e quando ha visto che c'era la possibilità del calcio ha pensato al fattore economico. Era rimasto orfano di mamma presto, la famiglia era numerosa e comunque il calcio era qualcosa che poteva veramente cambiare la vita".
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