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Il tecnico dell'Atalanta, intervistato da Tuttosport, ha parlato di tanti argomenti, tra cui la sua esperienza negativa all'Inter.
Il momento più brutto?
«Ho avuto una carriera in crescendo. Solo due stop, all’Inter e al Palermo. Il primo momento brutto, quello all’Inter, però è come se non ci fosse mai stato. Non lo considero neanche.Troppo breve. Non lo metterei neanche tra le voci della mia carriera. Giugno e luglio sono andati via senza il campo, ad agosto abbiamo cominciato a lavorare e in dieci giorni - tra Palermo e Novara - è finito tutto. Nonostante in quella squadra ci fossero tanti giocatori in declino, io credevo che lavorando si potesse fare bene. Ma avrei dovuto avere un po’ più di tempo. Anzi, un po’ di tempo. Dieci giorni sono niente. Non la considero neanche un’esperienza. Forse un’esperienza solo comportamentale».
Per come ti ha trattato la società?
«Moratti l’ha fatto in buona fede, ma per me è stata una cosa troppo pesante. La verità è che in quel momento era in crisi il modello Inter, tanto è vero che negli anni successivi non mi sembra che le cose siano andate meglio, anzi di strisce negative, molto più negative, ce ne sono state parecchie. Io ho provato a cambiare quel modello che non funzionava più, nel modo di allenarsi e di giocare. Ma evidentemente ero distante da quello che volevano conservare. E, come ti dicevo, Moratti lo capisco anche. L’Inter è la sua vita e in quel momento era ancora legato a un modello che gli aveva dato tante gioie e faticava a staccarsene».
E’ vero, mi sembra evidente che il problema non fossi tu, come poi hanno dimostrato gli infiniti, e infruttuosi, cambiamenti dell’Inter. Anzi, per l’Inter - visti invece i tuoi risultati - mi viene da pensare che sia stata una straordinaria occasione persa. Ma da lì è nata la storia, clamorosamente sbagliata, di Gasperini non adatto alla grande piazza.
«Macchè, una sciocchezza. Io all’Inter è come se non ci fossi mai stato».
Poi, mi dicevi, a Palermo.
«A Palermo sì, è stato invece l’unico anno in cui non sono riuscito a lavorare. Ho perso tutti e due i genitori in venticinque giorni e passavo il tempo a viaggiare per correre da loro in ospedale. Non ero sereno e dunque non ho dato il meglio di me stesso».
A San Siro è successo per tutto quello che è accaduto prima e durante Inter-Napoli.
«Sono due discorsi differenti. Prima della partita ci sono stati gli scontri, a due chilometri dallo stadio, che hanno riguardato pochi e devono essere di competenza delle forze dell’ordine. Gli ululati invece riguardano più persone, ma secondo me non c’entrano nulla col razzismo. Il razzismo è un’altra cosa, quello è più che altro un problema di educazione».
Gli ululati a Koulibaly non li consideri una manifestazione di razzismo?
«No, io no. Gli ululati sono come le offese, e sapessi quante ne ho sentite - il coro figlio di…, quando è andata bene - rivolte ai grandi giocatori. Quante ne hanno sopportate Del Piero o Totti? Io penso che sia un modo, deprecabile, per innervosire il miglior giocatore avversario, esattamente come le offese di cui ti dicevo. Ma come fa ad essere razzista uno che nello stesso momento fa il tifo per Asamoah o nel nostro caso, magari, per Zapata? Il razzismo è un’altra cosa, molto più seria».
Fatto sta che sarebbe giusto, come dice Ancelotti, interrompere le partite. Perché una cosa così non è ammissibile.
«Hai ragione, non è ammissibile, ma il problema non si risolve chiudendo uno stadio o una curva».
Ma l’Atalanta è secondo te davvero da Champions League?
«In questo momento siamo otto squadre in pochi punti, per cui dobbiamo tutti pensare ad arrivare in Europa. Che Milan, Lazio, Roma, Atalanta, Fiorentina, puntino all’Europa è una cosa evidente. La sorpresa sarebbe se ci arrivasse il Parma. Adesso siamo tutti lì, ma da febbraio la classifica comincerà a sgranarsi».
Cosa deve o può fare di più l’Atalanta per arrivare all’obiettivo?
«Siamo in un bel momento, giochiamo con fiducia. Facciamo un sacco di gol e siamo il miglior attacco, addirittura davanti alla Juve. Come mentalità, come modo di stare in campo, non possiamo fare tanto di più. Possiamo avere ancora una evoluzione dal punto di vista tecnico. Allenandosi ci si può migliorare tecnicamente, aumentando la fiducia nelle giocate, nel controllo della palla, nel calciare in maniera ancora più precisa. Se acquisti fiducia, puoi ancora crescere».
Tra i migliori c’è Mancini. Davvero può fare la fortuna anche di una squadra che gioca in Champions?
«Sta facendo grandi cose, perché Bergamo è una palestra fenomenale. Però bisognerebbe dargli il tempo di ambientarsi. Tutti, compreso Platini, hanno avuto bisogno di tempo per dimostrare il proprio valore».
A Roma si dice che lo voglia fortemente la Roma. A Bergamo che si dice?
«Si dice anche qui. E’ vero, la Roma finora è quella che ha dimostrato maggiore interesse. Però non c’è solo la Roma. Lo vogliono anche in Italia e all’estero».
E tu che gli consigli: l’Italia o l’estero?
«Io sono un difensore del calcio italiano. E allora spero che resti in Italia».
Ma è vero che Zapata è cambiato ed esploso dopo la dieta?
«Zapata è uno di quei calciatori, encomiabili, che hanno lavorato molto. All’inizio ha avuto qualche difficoltà, che ha deciso di superare attraverso il lavoro. Non ho mai visto, in vita mia, uno sudare come lui! Una fontana! Ha buttato fuori tanti di quei liquidi… Adesso suda molto di meno».
Ma è pronto, diciamo così, anche per giocare magari nella Juve? In un dream team, per intenderci.
«Nella rosa della Juve potrebbe starci benissimo. Per essere un top, cioè essere protagonista in una squadra di campioni, deve soltanto fare altri 14 gol nell’Atalanta… Poi può anche essere pronto per giocare nella Juve».
Ma domani ti richiama l’Inter, oppure ti chiamano la Juve, il Milan, il Napoli, la Roma, la Lazio. Percassi capirebbe?
«Io so che Percassi mi vuole bene, dunque se succedesse… Però anch’io voglio un gran bene a Percassi e all’Atalanta».
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