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Intervistato da La Repubblica, l'esterno tedesco ha parlato del suo passaggio all'Inter del cammino in Champions dei nerazzurri
«Il video di quel discorso me lo hanno girato molti amici, una grande soddisfazione. La cancelliera è anche venuta con noi in ritiro prima dell’Europeo. Sono riuscito a farle una domanda».
«Cosa si prova a vivere una vita senza privacy».
«Quando la testa non funziona, le gambe non vanno da nessuna parte».
«Mi piacerebbe il derby. Ho avuto la fortuna di giocarne tre, è un’emozione incredibile, forse unica al mondo. È il massimo che un giocatore possa vivere. Pressione, tifo, tensione. Pensa a tutto questo in una semifinale di Champions: ciao».
«Ci sono più fattori. Piccole cose che insieme fanno la differenza: attenzione, movimenti, approccio».
«Dopo le grandi vittorie non riusciamo a fare il necessario reset mentale. Probabilmente, a livello inconscio, siamo portati a pensare: se ho vinto col Barcellona, non posso perdere con lo Spezia. Ma è un grande errore. In Serie A non ci sono partite facili. Dobbiamo imparare a fare tabula rasa dopo ogni match».
«È disposizione di tutti, è preziosa. Io ci vado ogni settimana e lo consiglio ai giovani. Ci aiuta a staccare coi pensieri dal calcio, è importante per dare il massimo. Nel mio periodo di carriera migliore ho scritto un libro motivazionale, ora ne sto scrivendo un altro per bambini».
«Nulla, papà è il mio punto di riferimento. Penso di essere un uomo abbastanza piacevole ed empatico, quindi ha avuto ragione lui».
«David Alaba. Ha giocato in tutti i ruoli, dal difensore al numero 10, con qualità assurda. Abbiamo parlato, mi ha promesso la sua maglia».
«C’è solo l’Inter. So che nessuno mi ha mai regalato nulla in carriera, ma il trasferimento alla Pinetina l’ho vissuto come un dono. È una delle squadre più grandi al mondo, voglio dimostrare di meritarla».
«Sono onesto, so che per troppo tempo non sono stato il giocatore che l’Inter pensava di avere comprato. Ne ho parlato anche con Marotta e Ausilio. Avevo sottovalutato quanto gli infortuni potessero influire sul mio gioco, molto fisico. Se sei sempre un secondo in ritardo rispetto all’avversario, c’è poco da fare. Ora sto bene, posso fare vedere chi è il vero Robin».
«Diventare titolare all’Inter. La nazionale è una conseguenza».
«Sì, lì è nato mio padre, ci ho vissuto. Ma ho deciso di aspettare la chiamata della Germania. Mi sento tedesco. Sono tedesco».
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