Intervistato da Libero, il presidente della Figc Giuseppe Gravina ha parlato degli scenari che potrebbero verificarsi a breve nel mondo del calcio dopo l'emergenza Coronavirus: «L’obiettivo è trovare un percorso condiviso per programmare il futuro».
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Gravina: “Faremo di tutto per assegnare lo scudetto, impossibile giocare a luglio. Al Governo chiediamo…”
Il presidente della Figc ha parlato a Libero di quelli che potrebbero essere gli scenari successivi alla fine dell'emergenza Coronavirus
Presidente, il calcio vuole finire campionato e coppe a qualunque costo? Il ministro dello Sport, Spadafora, ha parlato di inevitabili porte chiuse.
«Se l’emergenza lo consentirà, a livello internazionale siamo d’accordo sull’ultimare campionati e coppe perché deve essere il campo a determinare i risultati. Ci atterremo alle indicazioni: se la condizione per giocare sarà di farlo a porte chiuse, ci adegueremo».
L’auspicio è riprendere a maggio, ma l’ipotesi più probabile parla di giugno con uno sforamento nel mese di luglio. Non si rischia di pregiudicare il futuro?
«Siamo ancora in tempo per provare a terminare l’attuale stagione senza troppi strascichi nella 20/21, ma è evidente che andare oltre metà luglio renderebbe le cose complicate. Tutti i protagonisti faranno sacrifici per il bene del calcio. Finire quello che abbiamo iniziato, oltre ad attutire il danno economico, comunque importante, ridarebbe agli italiani la voglia di gioire».
Fa sorridere ripensare alla scorsa estate, quando i club si opposero a un anticipo del calendario. Oggi c’è chi chiede una Serie ulteriormente allargata...
«In tempi non sospetti la Figc ha chiesto alla Lega di non comprimere troppo il calendario, iniziando con due settimane in anticipo. Ed è per questo che ritengo inapplicabile e inopportuna la richiesta paventata da qualcuno di portare la Serie A a 22 squadre con un ulteriore aumento delle gare da giocare. Sarebbe un messaggio sbagliato nell’anno degli Europei».
Prima le liti sui rinvii delle partite, oggi sul destino del campionato con alcuni club che chiedono di annullarlo subito: è solo un modo per risparmiare?
«È il momento dimettere da parte le rivendicazioni personali e cercare una visione più ampia e condivisa. In ballo c’è il futuro del gioco più amato dagli italiani, per questo dobbiamo provare a far rotolare il pallone non appena possibile».
Sarà davvero possibile tagliare gli stipendi?
«Abbiamo già iniziato a dialogare con Assocalciatori e Assoallenatori, che si sono dimostrate disponibili. La difficoltà di far fronte a determinati impegni è evidente. Nessuno può far finta di non porsi il tema del costo del lavoro. Lo faremo senza mortificare nessuno».
Se alla fine non si riuscisse a ripartire, il calcio avrà bisogno del soccorso statale?
«Il calcio si è sempre supportato sulle sue gambe, è il terzo comparto produttivo del Paese. Ho già chiarito che non chiediamo contributi diretti, piuttosto provvedimenti legislativi che ne agevolino la ripresa e lo sviluppo».
Totocalcio 2.0, pubblicità sulle scommesse e norme meno stringenti sugli stadi. Si aspettava proposte più “coraggiose”?
«Al contrario, queste proposte sono frutto di una comunicazione e di un tempismo sbagliati. Siamo ancora in piena emergenza, quindi le nostre richieste sono quelle urgenti per contenere l’emorragia: proroga delle concessioni d’uso degli impianti sportivi e sospensione del pagamento dei canoni; differimento delle scadenze; estensione della cassa integrazione e dei contratti di solidarietà anche per i giocatori di Serie B e C, fino ad un massimo di 50mila euro lordi; istituzione di un Fondo Salva Calcio – al quale la Figc destinerà tutte le risorse disponibili – che funga da sostentamento per le società in crisi di liquidità. Le altre idee entreranno nella seconda, forse terza fase di interventi».
Basteranno per salvare il 30% dei club a rischio fallimento?
«Assolutamente no, non bastano. Dovranno essere affiancati provvedimenti legislativi e federali che tengano conto soprattutto della base del professionismo e dei Dilettanti. È in questa fascia che rischiamo l’emorragia più grave».
Il nodo è la legge sul professionismo ormai vecchia di 40 anni?
«Non è possibile che lo sport in Italia sia organizzato secondo modelli così superati. Serve un insieme di suggerimenti, a partire dall’introduzione di quello che avevamo ribattezzato come “semiprofessionismo”, legando il sostituto d’imposta al reinvestimento obbligatorio nel sistema. Mi auguro che le nostre proposte saranno accolte già nella Legge Delega sullo Sport in approvazione entro l’estate».
Quanto fa male pensare che uno dei focolai del Coronavirus potrebbe essere stata una partita di calcio, Atalanta-Valencia?
«C’è rammarico per tutto quello che sta passando il nostro Paese. In quel periodo ancora non c’era l’esatta percezione del pericolo, anche perché la chiusura dei luoghi di incontro è avvenuta in seguito».
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