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"Milano, sono il tuo dio". È questo il titolo della lunga intervista rilasciata da Zlatan Ibrahimovic a SportWeek. Il campione svedese del Milan ha parlato di sé a 360 gradi, svelando alcuni retroscena e alcune caratteristiche nascoste dentro e fuori il rettangolo verde di gioco. Ecco un estratto della chiacchierata.
IO -"Sono iocentrico, se non avessi messo il mio io davanti a tutto non sarei qui. C’è solo un Ibra, no? Io. Ma nella mia vita, fuori dal campo, adesso prima dime ci sono i miei figli. Maximilian e Vincent vengono prima di tutto. Ovvio. E il mio conto in banca, no scherzo!"
BABBO NATALE - "Per me non chiedo mai niente. Sono io Babbo Natale, sono io che porto i regali a tutti i miei 27 bimbi: due sono in Svezia e gli altri 25 a Milanello. Quest’anno tanti complimenti, per quello che abbiamo fatto e per quello che stiamo facendo. Ne abbiamo perse pochissime (a Ibra non piace perdere).Non so se è grazie a me, ma qualcosa ho fatto, qualcosa ho portato dentro. Quando sono arrivato a gennaio scorso, il Milan era dodicesimo. E avevano già scritto il finale, avevano già giudicato prima di vedere i risultati: non c’era partita. Invece siamo arrivati al top, stiamo dimostrando di essere parte del top e ora bisogna continuare così".
MILAN - "Ho giocato in tanti club ed ho rispetto per tutti i miei club. Grandi ricordi. Ma il Milan è il club dove mi sento a casa. Vado a Milanello ogni mattina e non ho fretta di tornare a casa, perché sono a casa. Mi sono sentito così la prima volta che sono venuto al Milan, era il 2010. Con Galliani e Berlusconi, con la squadra, tutti quelli che lavoravano lì, c’era un altro feeling, un’altra atmosfera. Ti facevano sentire a casa. “Sei a casa tua, fai quello che vuoi però devi portare i risultati”. Questo mi piaceva perché potevo essere me stesso e allo stesso tempo giocavo per uno dei club più grandi al mondo. Per questo per me il Milan è il top of the top. A Milano ho tanti amici, non sarà strano per me viverci anche quando avrò smesso di giocare: in questi dieci anni è cresciuta tanto, è molto internazionale, mi piace. E mi spiace per questo Covid-19...".
MAGIA -"Ne ho fatte tante, troppe. La più importante è aver fatto la differenza in campo. A tanti sembra impossibile che io, alto quasi due metri, sia capace di fare quello che faccio. E non l’ho fatto solo una volta, l’ho fatto tante volte. Questo mi piace. Quando ero piccolo avevo in testa di diventare più completo possibile, non volevo essere bravo solo nel dribbling o nel tiro o di testa. Io volevo essere il più forte in tutto. Sono completo, questa è la mia magia".
OSTINAZIONE -"Io sono focus. Quando faccio una cosa, devo raggiungerla. Quando sono in campo sono 200 per cento focus e pretendo lo stesso da tutti i compagni. Poi dopo scherziamo. Dopo".
ORO -"Oro come il Pallone d’oro? Non cambierei i miei 12 Guldbollen per uno di France Football. Perché per me significano continuità. Ho visto tanti che hanno vinto Mondiale, Europeo, Champions League, anche il Pallone d’oro, hanno avuto un anno meraviglioso, fantastico, poi dopo sono spariti. Invece io sono nel game da 25 anni. Sempre al top. Sempre al top. Allora non cambio niente per una cosa, perché una cosa è come un k.o., un colpo fortunato. Questo non è un one lucky shot. C’è una grande differenza".
VITTORIA - "La vittoria è la mia droga. È difficile spiegare, però quando sono in campo io devo vincere. A tutti i costi, ma sempre. Ho un rating di vittorie in allenamento, nelle partitelle, del 95 per cento. Non è una bugia. Quando perdo si vede, ma non capita spesso perché non perdo. Sono troppo fissato di vincere, ma troppo. Forse si è capito anche con la squadra, come nel pareggio col Parma: forse sei mesi fa sarebbero stati contenti, invece stavolta erano tutti incazzati e il giorno dopo lo erano ancora. Così deve essere. (In assoluto, droga è una parola brutta. La gente che si droga è gente debole. Quelli che hanno tutto e si ammazzano non li rispetto. In strada c’è gente che non mangia, dorme sotto i ponti e non molla, perché è forte). Ho vinto in tutti i club dove ho giocato, ma quest’anno col Milan è di sicuro la sfida più bella e più difficile della mia carriera. E vediamo come finirà, perché se mi torna qualcosa sarà la vittoria più bella, il meglio che ho fatto. Non ho paura di sognare che possiamo riuscirci".
CAZZATE -"Ne ho fatte tante, in questo mondo tutti pensano a... essere perfetti. Ma se non fai cazzate non cresci, non impari. Io continuerò a farle. Ne ho fatte tantissime. Una volta ho rubato una macchina, ma non perché mi servisse come le biciclette, era solo per adrenalina. Però sono scappato giù subito, perché non mi sentivo bene. Eravamo 5 amici, le cazzate del ghetto, tante cazzate. Anche nel calcio uuuhhh tante, adesso sono più maturo. Io non cerco il litigio, succede. Quando ero al Milan la prima volta con Onyewu però sono stato onesto e veloce, ho chiamato subito Galliani. Ho detto ascolta, no, non ho detto ascolta, ho detto scusa. Prima che ti chiamino altri, ti dico cosa è successo, bla bla bla fai quello che vuoi, prendi un mese di stipendio, accetto tutto. Poi lui è stato più grande di me, ha detto “noi siamo una famiglia, hai chiesto scusa, andiamo avanti”.
COMPAGNI - "Ne scelgo undici per grandezza o per affetto. Quelli che mi hanno dato qualcosa. Ibra Ibra Ibra... No, faccio il serio: in porta c’è Buffon. Il più forte. Alla Juve abbiamo passato bei tempi. Quella era una squadra speciale, il mio primo top club. Tutti erano... come me co nquesti giovani del Milan (che... vedremo se in futuro parleranno di me!). Avevano tanto da insegnare, erano un esempio. Maxwell terzino sinistro, è mio amico. Poi se mettiamo animali, Nesta e Cannavaro centrali: quante risate con Fabio, mi portava a Napoli in scooter, era matto... ma io di più. Io ero giovane non avevo esperienza, Cannavaro e Thuram ne avevano troppa... Sarebbe bello giocare con loro oggi, ora sarebbe diverso. Terzino destro, Maicon: quando è arrivato non era considerato così forte come è diventato poi all’Inter: tre anni molto belli. Poi Nedved numero uno, lui mi ha migliorato più di tutti, di testa e nel mio gioco. Quando ho visto lui ho capito che quello che stavo facendo non bastava, dovevo fare di più. Nedved è una macchina di lavoro: lavorava prima durante e dopo l’allenamento. Fuori di testa. Poi Vieira e Xavi. Quel Barcellona era una squadra di fenomeni: primi sei mesi top, poi per colpa dell’allenatore (ndr, Guardiola) io non stavo bene... Posso mettere gente con cui non ho giocato? Forse terzino destro metto Cafu, più cattivo. L’attacco è facile: Zidane trequartista, quando entrava in campo lui faceva diventare tutti gli altri Zidane. Ronaldo il Fenomeno, il mio idolo. E Maradona, perché è il più forte di tutti i tempi. Sì, lui era più forte anche di me. Io questa volta sono allenatore, e un giorno chissà se lo sarò davvero".
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