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EDITORIALE – Icardi, l’Inter e il non coraggio di uscire da una comfort zone

Francesca Ceciarini

Le parole di Icardi di 4 anni fa ci aiutano a capire il personaggio e gli atteggiamenti

Mauro Icardi e l'Inter erano una storia che poteva diventare bellissima e invece sta finendo nel peggiore dei modi, come un marito e una moglie che si tirano i piatti e discutono del tostapane regalato in lista nozze venti anni prima di fronte a un divorzio imminente.

Le due parti continuano a fare muro ed entrambe sembrano non fare caso a cosa dica l'altro, paiono quasi due rette parallele che viaggiano entrambe sulla propria strada, sapendo che non si incontreranno mai: l'Inter dice a Icardi: "Non c'è più posto per te qui, pensa a cercarti un'altra squadra," lui fa orecchie da mercante e ribadisce: "Io da qui non mi muovo," per ripicca o no, non si sa, ma alla fine le due rette chissà se si incontrerrano mai.

Ci si interroga su come mai Mauro Icardi sia così ostinato nel ribadire la sua volontà di rimanere in nerazzurro, su come mai non voglia accettare di essere finito fuori dal progetto di Antonio Conte e della nuova Inter, beh, a volte cercare di conoscere i protagonisti aiuta a capire il loro modo di agire, magari non si può avere la presunzione di capire ciò pensano, ma si può tentare di comprendere alcuni comportamenti. In particolare alcuni comportamenti dell'argentino ai più possono sembrare assurdi ma andando a scoprire, o riscoprire, il personaggio si può cercare di comprendere.

Molti si chiedono: "Ma davvero Icardi vuole rimanere pur sapendo che non indosserà più la maglia dell'Inter? Così si brucia la carriera a 26 anni, si è bevuto il cervello".

Non sarebbe sorprendente visto quanto dichiarava solo quattro anni fa: Icardi aveva solo 22 anni e gran parte della sua carriera davanti, non aveva ancora esordito in Champions ma era già sposato con Wanda ed era appena diventato padre di Francesca, eppure dichiarava di non amare il calcio e di non avere fame, la fame che serve ai talentuosi per emergere, insieme alla testa.

Questo dichiarava l'ex capitano dell'Inter a Sportweek nel febbraio 2015:

"Il calcio è uno sport che mi fa divertire, però ci gioco e basta. Le partite non le guardo mai e non so nulla di quello che succede nell'ambiente. Cosa ha fatto il Milan domenica? Non seguo la Serie A. Chi è arrivato in semifinale di Coppa Italia? Men che meno. Il portiere del Chelsea? Beh, quello sì, non sono scemo. Sono sempre stato così, sin da bambino. Alle giovanili del Barça vivevo praticamente dietro la porta del Camp Nou e i giorni di gara me ne stavo in camera a guardare film. Non solo l'unico, ci sono parecchi giocatori a cui non frega niente del calcio". 

Probabilmente giocatori che non sono mai emersi del tutto, e sicuramente non sono diventati fuoriclasse. Per Icardi il calcio è sempre stato un normale lavoro e poco più: un lavoro molto ben pagato, certamente, da privilegiati, un privilegio che solo chi ha talento come lui riesce a permettersi.

Ma ora Mauro rischia di buttare tutto a soli 26 anni: tutti i sacrifici fatti, tutti i gol segnati per cosa? Per la mancanza di passione, di quella fame che devi avere per emergere e distinguerti da tutti, per raggiungere traguardi importanti e vittorie. Icardi ha sempre avuto l'ambizione, ma la fame no, ammissione sua nella stessa intervista:

"La fame non mi appartiene, ho l'ambizione di fare bene nel calcio, di avere una vita tranquilla e felice. Gli infelici sono quelli che ascoltano sempre gli altri, io non ho mai ascoltato nessuno e infatti sono felicissimo".

Passaggio molto importante per capire gli atteggiamenti dell'ormai ex numero 9 nerazzurro: per Icardi l'Inter non era, probabilmente, il grande amore calcistico che ha sempre professato, faceva parte della comfort zone che si era creato a Milano, con la sua famiglia, le sue ville extra lusso fra la città e il Lago di Como, la mondanità della città che spesso offre l'occasione a lui e Wanda di partecipare a eventi di moda e altro: qualcosa che perderebbe se si trasferisse altrove.

Una fame che Icardi ha mostrato raramente anche sul campo, spesso estraniato dal gioco, spesso a fare solo il compitino, ovvero aspettare la palla in area dopo il lavoraccio dei compagni per lui, quello che non avendo la fame e la passione raramente lottava, si faceva vedere per qualche sponda o triangolazione per non ingolfare il gioco, ma quando lo faceva di dimostrava un'iraddiddio, e allora i rimpianti crescono, perché Icardi con la fame e la passione, col fuoco che brucia dentro ai veri campioni, sarebbe potuto diventare un campionissimo, invece si è sempre accontentato, sfruttando il suo enorme talento al minimo indispensabile o poco più.

Per Icardi l'Inter era - e tutt'ora lo è- una specie di contratto a tempo inderminato, dove lui ormai aveva conquistato tutto, dalla popolarità fra i tifosi alla fascia di capitano fino a un certo "potere" nello spogliatoio, ormai non doveva lottare più per niente, aveva raggiunto una sorta di pace interiore, con la sua vita perfetta: mai messo in discussione dalla stampa, dai tifosi, soprattutto per i suoi gol, ma anche perché nella mediocrità dell'Inter degli ultimi anni e dove era stato protagonista nessuno poteva togliergli lo scettro. Il declassamento di febbraio gli ha fatto - di colpo- perdere tutte queste certezze: improvvisamente è stato messo in discussione e lui, a quanto pare, non aveva quel qualcosa che brucia dentro, quella fame, che gli hanno fatto rimboccare le maniche e gli hanno fatto dire"Ah sì? Voi mi fate questo? Allora io vi faccio vedere," che è un po' quello che ha fatto Radja Nainggolan ultimamente, quando ha realizzato che per lui in questa Inter non c'era posto.

Icardi invece è rimasto quello senza fame, senza passione per il calcio, quello quasi abulico di fronte alle avversità: nessuna reazione che potesse far pensare che volesse rimettersi in gioco, anzi, lui probabilmente alla fine se ne starà lì, senza lottare, a prendersi il suo stipendio, quasi come un impiegato statale prossimo alla pensione che va a lavorare con l'entusiasmo di un marito che porta la moglie all'Ikea la domenica pomeriggio e rimane tutto il giorno a scaldare la sedia giocando al solitario sul computer, non vedendo l'ora che scatti l'ora X per tornare a casa e che arrivi il 27 del mese per riscuotere lo stipendio, ma ancora di più, che tutto ciò finisca e sia libero.

Avrà perso il suo inderminato, Icardi, il giorno che scadrà il suo contratto con l'Inter, ma probabilmente sarà anche più vicino alla pensione di uno statale sessantenne, a soli 28 anni, età in cui di solito un calciatore talentuoso raggiunge il culmine della carriera.

Se a lui tutto ciò non fa nè caldo nè freddo, inutile stare qui rompersi la testa: l'Inter ci perderà i soldi che poteva ricavare dal suo cartellino, ma da una persona che non ha il coraggio di rimettersi in gioco e di uscire dalla sua comfort zone, da chi non ha la fame di vittorie e traguardi importanti, tutto questo magari non era prevedibile ma ci si poteva aspettare.