Scandalo che ha investito il calcio italiano, coinvolgendo diverse società professionistiche fra le più importanti e numerosi dirigenti sia delle stesse società sia dei principali organi calcistici italiani, oltre ad alcuni arbitri e assistenti. In ordine di tempo si è trattato del terzo grande scandalo nella storia del calcio italiano, dopo i due scandali relativi alle scommesse del 1980 e del 1986. Molteplici imputati, tra cui spiccano i nomi di Luciano Moggi e Antonio Giraudo per la Juventus, dei fratelli Diego e Andrea Della Valle per la Fiorentina, di Claudio Lotito per la Lazio e di Pasquale Foti per la Reggina, spaziavano dalla violazione delle norme di lealtà, correttezza e probità sportiva (art. 1 del Codice di Giustizia Sportiva vigente all'epoca) all'illecito sportivo vero e proprio (art. 6 del CGS). Furono coinvolti nello scandalo anche i due designatori arbitrali della CAN A dell'epoca, cioè Pierluigi Pairetto e Paolo Bergamo, e diversi arbitri: Massimo De Santis, Paolo Dondarini, Gianluca Paparesta, Paolo Bertini, Domenico Messina, Gianluca Rocchi, Paolo Tagliavento, Pasquale Rodomonti. Accusati anche i vertici della Federcalcio, precisamente il presidente Franco Carraro e il vicepresidente Innocenzo Mazzini, e il presidente dell'AIA Tullio Lanese. La società maggiormente colpita dalla giustizia sportiva fu proprio la Juventus: riconosciuta colpevole di «illecito associativo», le fu revocato il titolo de iure di campione d'Italia 2004-2005 e non le fu assegnato nemmeno quello 2005-2006 in quanto retrocessa d'ufficio all'ultimo posto in classifica. La squadra scese così per la prima volta in Serie B, e dovette scontare anche un'ulteriore penalizzazione di 9 punti nella classifica del campionato italiano di Serie B 2006-2007. Penalizzazioni di varie entità furono inflitte anche a Fiorentina, Milan, Lazio, Reggina e Arezzo.