Gianfelice Facchetti, ospite di Skysport, ha parlato dello stadio Meazza in occasione della presentazione sul canale satellitare del suo libro, 'C'era una volta San Siro'.
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Inter, Facchetti: “Scudetto? Prima possibile. San Siro, celebrazione e realismo”
Il figlio dell'ex compianto presidente nerazzurro ha parlato del suo nuovo libro e del percorso della squadra di Conte
-"Siamo i luoghi che abbiamo attraversato", scrivi nel tuo libro. San Siro fa parte di te?
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È questo e tanto di più. Quando il calcio si è fermato e gli stadi sono stati chiusi ho sentito il desiderio di provare a celebrare San Siro, la sua storia e i protagonisti. Visto che siamo stati tutti spettatori da casa, salvo rare eccezioni, nell'ultimo anno. E in questo momento in cui gli spalti sono rimasti vuoti ho provato a dare luce alla memoria con questo tema del possibile rifacimento o abbattimento del Meazza. Poi il tema ha preso anche una portata politica. Ci passano molte cose ma era innanzitutto un viaggio storico e sentimentale che è un luogo non solo dei milanesi sportivi ma un luogo dello sport mondiale.
-Rispetto al futuro di San Siro ti poni anche la domanda: 'Se nel trasloco si rompesse lo spirito che da sempre aleggia sullo stadio'. Hai questo timore?
Credo sia fondato. Non sempre quando si cambia un luogo nasce la stessa magia. Sicuramente nascerebbero nuove storie e non ho detto non siano all'altezza. La nostalgia non è il filtro con cui guardare a San Siro anche se è una tentazione lecita in questo momento. Ma non è il filtro giusto. Il primo capitolo l'ho intitolato: 'Essere giusti con San Siro'. Bisogna riconoscere, esaltare e celebrare, portare tutta la bellezza in superficie. Però essere anche realisti. Conoscere i vari attori in questo dibattito e quindi i club con le loro necessità, le persone che ci vivono attorno e che hanno i loro diritti. A ciascuno va data la possibilità di parlare. E serve come primo passo un dialogo serio come primo step.
-Mai giocato a San Siro?
Una partita di beneficenza qualche anno fa. Giocavo nei ragazzi dell'Atalanta ma nel percorso agonistico non ho mai giocato.
-Da spettatore però sì, andavi a vedere tuo papà, sarai attanagliato dalla nostalgia...
Assolutamente sì. Infatti non la rinnego. Una cosa che ogni tanto fa anche bene e riporta vicino presenze-assenze delle figure che ci accompagnano da lontano. Anche nella copertina ho scelto un modellino in argento che avevamo a casa che riproduceva in piccolo San Siro. Quello è il mio primo fotogramma dello stadio messo a fuoco per me.
-Prima facevi riferimento al periodo del lockdown, dopo il coronavirus cambiano anche le prospettive per una nuova idea di stadio?
Credo che sarà un argomento che non resterà fuori dai discorsi sul calcio. Coinvolgeranno anche il tema degli impianti. Ho la sensazione che certe conseguenze ce le porteremo avanti negli anni.
-A San Siro passa la storia di tanti grandi campioni. Come Totti che ha segnato tanti gol al Meazza e Julio Cesar ne ha subito uno che ha definito il più bello tra quelli incassati...
Ne ha fatti parecchi e da tifoso avversario ogni volta che era a San Siro contro l'Inter Totti ha sempre lasciato il segno. Spesso e volentieri. Quel gol l'ho messo perché ricordavo la scomparsa dell'inventore del cucchiaio e mi faceva piacere riportare questo episodio. Perché San Siro riconosce i grandi avversari, di qualsiasi bandiera, e gli fa un tributo. E al passo d'addio nel 2017 contro il Milan il tributo a Totti il Meazza non lo fece mancare.
-C'è anche l'addio al calcio di Baggio nel tuo libro, arrivò a San Siro...
Era un altro passaggio. Ha giocato con l'Inter e il Milan e quel passo d'addio è uno dei più attaccanti visto al Meazza. Baggio ha incarnato lo spirito di questo sport. Era doveroso mettere una foto in cui lui saluta il pubblico con la mano sul cuore.
-Quanto c'è del San Siro visto con gli occhi di tuo padre in questo racconto...
C'è qualche passaggio inevitabilmente, ma pensavo ad una celebrazione più corale possibile nei confronti dello stadio e che ci fosse spazio per più fedi calcistiche. C'è un'unicità di due squadre che condividono l'impianto. Ma tanti anni si possono riconoscere in questo stadio, come il Torino, il Grande Torino prima della strade di Superga, l'ultima partita la giocò al Meazza ed è la partita che sancisce la fine del campionato e la vittoria granata. C'è qualche passaggio su mio padre, quindi autobiografico, come Inter-Liverpool del 1965 e anche la versione più intima di quando andavo allo stadio con papà e che ho capito che dal Meazza non si può uscire prima della fine della gara. Era un'Inter-Napoli degli anni ottanta. Lasciammo la tribuna sul due a zero e in cinque minuti arrivati in macchina il Napoli pareggiò due a due. La durezza della vita ha i suoi inconvenienti e ogni tanto San Siro lo insegna.
-Vero che è un San Siro senza pubblico. Però per l'Inter, vicina alla vittoria allo scudetto, preferisci vincere già col Crotone?
Prima arriva meglio è. Poi sarebbe bello che ci fosse anche solo simbolicamente un modo perché una piccola rappresentanza di tifosi possa salutare la squadra e condividere questo attimo di felicità. Così, incrociando le dita. Sperando che arrivi prima possibile.
-Il motivo del cambio di marcia dell'Inter dall'andata al ritorno?
Penso l'unione di intenti. In questo gruppo compatto non c'è differenza tra titolari e comprimari. Anche se la formazione titolare è spesso la stessa tutti si sentono coinvolti come è successo domenica con l'ingresso di Darmian.
-San Siro è anche spazio della musica e c'è l'introduzione di Ligabue...
Oltre alla storia del calcio San Siro è stato la storia della musica con concerti che si ricordano. Come Bob Marley o Springsteen che si è speso sulla sua acustica.
(Fonte: SS24)
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