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Inter, qualcuno ha sottovalutato questo gruppo. E Inzaghi non si nasconda più: ora deve…
Qualcuno ha sottovalutato questo gruppo. Probabilmente gli stessi tifosi interisti. E certamente gli addetti ai lavori. Tutti, un'estate fa, abbiamo per pensato (almeno per un attimo) che niente sarebbe più stato come prima. Chi avrebbe ereditato la leadership di Lukaku? Chi avrebbe sostituito la qualità di Hakimi? Inzaghi avrebbe retto il confronto con Conte e con lo scudetto vinto dopo 11 lunghissimi anni? Eppure questo gruppo ha dimostrato di esserlo fino in fondo. E ha portato in dono nella sala dei trofei di viale della Liberazione due Coppe notevolissime. Notevolissime perché mancavano da tempo (e quanto!). E perché vincere è prima di tutto uno stato d'animo, che nel calcio disegna bellezza e attribuisce cattiveria. Ti spinge a fare meglio, a spostare l'asticella, a non accontentarti. Non ti fa dormire. E' insieme irrequietezza e sofferenza. Ma è sempre la misura del lavoro che hai fatto. E qui si è lavorato tanto. Soprattutto in silenzio.
Non a caso quando l'Inter ha ingranato (quasi troppo in fretta) nella prima parte della stagione, i giocatori nerazzurri hanno spesso fatto notare come le aspettative figlie del ridimensionamento estivo fossero comunque sbagliate. Il gruppo lo sa. Il gruppo lo sente. "Penso che si sia vista la forza del gruppo, stasera. E' tutto l'anno che lo dimostriamo. A fine partita eravamo tutti lì pronti a festeggiare e al fischio d'inizio eravamo lì ad incitare i nostri compagni", dice Darmian dopo la vittoria all'Olimpico contro una Juventus che saluta ufficialmente la stagione con zero titoli (o zeru tituli, se preferite). "E' tutto l'anno che lo dimostriamo". Matteo ci dice una cosa e ce la dice con un garbo risoluto: era sotto gli occhi di tutti, eppure pochi di voi lo hanno notato o messo in risalto. Il gruppo e la sua forza. Rimanere lucidi è stata la cosa probabilmente più difficile in alcuni tratti di questa stagione. E non è ancora finita, anche se abbiamo indossato l'euforia di ieri sera come fosse la nostra maglietta preferita. Anche se il destino - purtroppo - è nelle mani di altri.
Nel giusto elogio dei meriti del gruppo c'è qualcuno che si dissocia e lascia spesso e volentieri il palcoscenico alla squadra. Ma questo qualcuno si merita tutti i complimenti possibili. Simone Inzaghi sa il fatto suo e non nutre alcun bisogno di ribadirlo. Eppure queste due Coppe arrivano al suo primo anno su una delle panchine più insidiose della serie A. Dopo un anno glorioso, a raccogliere un'eredità che avrebbe schiacciato molti tecnici. Si invecchia in fretta, qui, all'ombra della Madunina. Ma è anche vero che quando si raggiunge un traguardo l'esplosione di entusiasmo è incontenibile e diventa una melodia che non riesci più a scacciare dalla testa. Il gruppo di Inzaghi è molto diverso da quello di Conte e non solo per le individualità ma anche per le leggi che lo governano internamente. E se qualcuno, per un momento, aveva pensato che libertà fosse sinonimo di vada come vada si è sbagliato di grosso. Ma questo il gruppo già lo sapeva, ci dicono i sorrisi stampati sulle facce dei giocatori felici come bambini dopo la vittoria - l'ennesima - contro la Juventus rivale di sempre. Quei sorrisi sono gli stessi che non riusciamo a levarci dalla faccia stamattina. Quei sorrisi e quel gruppo. Niente male per una squadra ridimensionata. Niente male.
@SBertagna
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