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Con l'arrivo di Sensi, l'Inter potrà contare su un vero e proprio regista che mancava da anni. Negli ultimi due anni, Spalletti ci ha piazzato Brozovic in regia, con buoni risultati, anche se non è proprio il ruolo del croato. Un vero regista manca all'Inter dai tempi del Triplete, quando a manovrare il gioco di Mourinho era Thiago Motta, come ricorda La Gazzetta dello Sport: "L’ultimo grande kolossal lo girò Thiago Motta, non partecipando nemmeno a tutti i ciak del «Triplete». Dopo quel blockbuster i film interisti hanno avuto raramente un lieto fine, e in regia hanno lavorato in tanti, spesso apprendisti, adattati o part-time. Con Sensi si cambia strada, piazzando in rosa e in squadra un playmaker, un volante central. Intendiamoci, si può giocare, e pure bene, anche senza un regista classico, i compiti di creazione e ordine possono essere spezzettati o diffusi. Però avere un interprete sicuro è una buona base da cui partire".
BROZOVIC - "Tanto più se si aggiunge a chi, nell’ultimo anno e mezzo, ha esercitato con discreto successo il ruolo di «fonte di gioco». Marcelo Brozovic play fu un’intuizione di successo di Spalletti. Rigenerava un esterno/mezza punta che non aveva mai trovato continuità e rispondeva all’esigenza di trovare un regista credibile dopo il fallimento dell’idea di trasferire le prestazioni da «sindaco» di Borja Valero da Firenze a Milano. Brozo ha fatto 15 mesi di alto livello, ma addossargli tutto il peso della costruzione ha esposto la squadra a cali vistosi in corrispondenza delle sue giornate no. E poi Epic non ha la genialità nella giocata di chi da sempre crea spazi che altri non vedono".
BANEGA - "Genialità che l’Inter sperava di aver trovato a zero nell’estate 2016 in Ever Banega, talentuoso ma incostante argentino che si rivelò presto un po’ poco performante sotto pressione (degli avversari e di San Siro). Anche da quasi-trequartista a Siviglia faceva girare l’intera squadra, in nerazzurro fu presto panchinato e archiviato. C’erano grandi aspettative, su Banega, perché si arrivava da un’annata in cui la coppia Medel—Melo occupava le zolle centrali. I tackle non erano mancati, la voglia di aggredire l’avversario nemmeno, ma in quanto a geometrie, tocco e lampi di classe il 2015-16 corrisponde a una traversata del deserto", analizza il quotidiano.
GARGANO - "Dal punto di vista del gioco sono anni difficili, quelli del post-Triplete, dopo gli addii di Motta e Stankovic e con Cambiasso che cala di giri. Il Cuchu non era mai stato un play puro, ma la sua intelligenza tattica e leadership sarebbero state rimpiante e lungo. Con Stramaccioni diventa titolare fisso un quasi-crepuscolare Gargano, che saluta dopo una stagione di palloni giocati non proprio di prima".
KOVACIC - "Mazzarri si ritrova per le mani un giovane Kovacic, ma lo reputa troppo tenero e inesperto per affidargli le chiavi, che passano di mano fra Guarin, Hernanes e Cambiasso. Mateo si trova a giocare vari ruoli, da trequartista a interno, con passaggi in panchina. La cosa continuerà con Mancini, prima che l’attuale c.t. nel finale lo renda più «centrale». Poi va a Madrid, a studiare da Modric. Uno che per un po’ si è sognato venisse a fare film a Milano", si legge sul La Gazzetta.
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