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Cosa c’è dietro lo sfogo di Simone Inzaghi post-Porto. Il Corriere dello Sport torna sulle parole di martedì sera dell’allenatore dell’Inter. E si sofferma in particolare sul percorso fin qui fatto da quando allena la formazione nerazzurra post Conte.
“Alcune critiche feroci, dopo gli ultimi ko con Bologna e La Spezia, lo hanno ferito. «So da dove vengono e perché, lavoro da troppi anni nel calcio». La stessa distanza assunta da Marotta, in silenzio dentro la tempesta (è tornato a parlare dopo l’eliminazione del Porto...) e orientato a considerare l’ipotesi del divorzio a giugno con un anno di anticipo rispetto alla scadenza del contratto, equivaleva a un segnale. Simone si è sentito scaricato o quasi, come succede a qualsiasi allenatore messo in discussione all’interno del club. Così è stato naturale girarsi indietro, riavvolgere il nastro, sottolineare alcuni passaggi di cronaca, relativi al suo arrivo all’Inter, troppe volte dimenticati. Come l’autogol di Radu a Bologna, pesantissimo in chiave sorpasso scudetto da parte del Milan.
Marotta, consegnandogli la panchina, non gli aveva chiesto di vincere il campionato, ma di garantire un piazzamento tra le prime quattro e cercare l’ingresso agli ottavi Champions, fondamentale per riassestare i conti, come ha ricordato Inzaghi nella pancia del Do Dragao. Era quasi mezzanotte, ultimo giro di interviste e la platea ha ascoltato il suo ruggito. Destinazione via della Liberazione. «Quando sono arrivato all’Inter mi è stata chiesta la Champions in campionato e di arrivare agli ottavi, perché l’unico scudetto vinto negli ultimi dodici anni aveva creato problemi economici. Mi sembra di esserci riuscito e adesso abbiamo migliorato il cammino europeo. Guardo il mio percorso. Devo ringraziare lo staff e i giocatori, ho dei grandi uomini dentro lo spogliatoio. Mi hanno permesso in diciotto mesi di portare a casa tre titoli»”, si legge sul quotidiano.
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