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La vicenda Ibrahimovic-Lukaku non si è ancora fermata. Ieri la Procura ha ascoltato l'attaccante del Milan sui fatti accaduti nel derby di Coppa Italia. Un colloquio di un'ora dove sono stati chiesti allo svedese i fatti e Ibrahimovic ha giocato in difesa, ma su una cosa è stato irremovibile: non si è trattato di razzismo. Ha provocato Lukaku, ma non ha violato l'articolo 28 del Codice di giustizia secondo lui e i suoi difensori. Ibra ha fatto riferimento a un fatto noto e anche i giornali inglesi sono stati presi come prova. Valuterà la Procura.
"La frase incriminata è nota: «Chiama tua madre, vai a fare i tuoi riti voodoo di merda da un’altra parte». Ibra l’ha pronunciata nel mezzo del parapiglia che si era acceso dopo un fallo di Romagnoli su Lukaku. A Ibra è stato chiesto di spiegare il perché di quella frase e lui, con grande serenità, ha detto di aver fatto riferimento a un fatto risaputo. Ibra ricordava benissimo la vicenda, sapeva che a Lukaku ha sempre dato fastidio, e l’ha tirata fuori a San Siro per punzecchiare il rivale, colpendo nel segno. Anche la reazione furibonda di Lukaku, sfociata negli insulti ai familiari del rivale e nel «ti sparo in testa» (parole non chiarissime) è finita sotto la lente di ingrandimento della Procura. Nelle prossime ore sarà ascoltato anche l’interista, ieri impegnato a Firenze", spiega La Gazzetta dello Sport.
"Quello che conta per Ibra e per il Milan, in ogni caso, è che le accuse di razzismo possano cadere perché di razzismo non si è trattato. La formula si applica anche all’altra espressione proferita dallo svedese nei confronti di Lukaku: «little donkey», nel gergo calcistico inglese non sta per «asinello» ma per «scarsone». Ibra sarebbe partito insomma da un intento canzonatorio, usando l’arma del trash talking come era già successo con Zapata durante Milan-Atalanta", chiude Gazzetta.
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