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Maaroufi: “Mancini un padre per me, se solo avessi ascoltato lui e Ausilio. Ora…”

Ibrahim Maaroufi ha un passato da calciatore nell’Inter. Una meteora, lanciata nel 2006 proprio da Roberto Mancini.  Oggi a 27 anni è un onesto centrocampista del Renaissance Club Schaerbeek, squadra dilettante di Bruxelles. Nella stesso...

Daniele Mari

Ibrahim Maaroufi ha un passato da calciatore nell'Inter. Una meteora, lanciata nel 2006 proprio da Roberto Mancini.  Oggi a 27 anni è un onesto centrocampista del Renaissance Club Schaerbeek, squadra dilettante di Bruxelles. Nella stesso quartiere dove lui gioca, viveva Khalid El Bakraoui che gli ha rubato l’identità, ha usato il suo nome per affittare un appartamento a Parigi, trasformato in covo per gli attentati di gennaio, e poi si è fatto esplodere nella metropolitana Maelbeek. Maaroufi è stato intervistato dal Corriere della Sera, a cui ha raccontato l'incredibile vicenda.

"Maaroufi quando ha saputo che il terrorista della metro aveva usato il suo nome?

«La prima volta a gennaio, subito dopo gli attentati di Parigi. Un mio amico mi ha chiamato per dirmi che circolava il mio nome e sono andato subito alla polizia, qui a Bruxelles. Ho chiarito la mia posizione, ma mi avevano detto che El Bakraoui era morto».

 Ha mai conosciuto o incontrato Khalid El Bakraoui?

"«Mai, non sapevo chi fosse fino agli attacchi di Parigi e ripeto, credevo fosse morto lì. Così mi avevano detto».

"E quando ha saputo che era lui il kamikaze della metropolitana che è successo?

«Sono tornato alla polizia venerdì scorso. Ho spiegato ancora la mia situazione. Ho parlato per un’ora con l’antiterrorismo, poi mi hanno rilasciato perché su di me non c’era nulla. Mi hanno detto: vada pure a casa e stia tranquillo, non ha fatto niente».

"Le hanno spiegato come ha fatto Khalid El Bakraoui ha rubarle l’identità?

«No, anche perché non ho mai perso un documento. Ho cambiato la carta d’identità qualche anno fa, ma ho consegnato la vecchia, quindi non è possibile che mi abbiano rubato i documenti».

"Ha un’idea del perché è stato usato proprio il suo nome?

«Vivo in un quartiere di mille persone (preferisco però non dire il nome del posto per ragioni di sicurezza, con certa gente non si sa mai) e qui tutti i marocchini mi conoscono. Sanno che ho giocato in serie A, nell’Inter. Credo lo sapesse anche El Bakraoui che, ho letto, era passato per l’Italia».

"La mattina degli attentati lei dov’era?

«Mi sono svegliato alle 8, ho portato mio figlio a scuola e sono tornato a casa. Ho acceso la tv e visto gli attentati. Ho svegliato mia moglie che è spagnola-marocchina e le ho detto: guarda che hanno fatto questi pazzi».

"Lì però non sapeva ancora che era coinvolto El Bakraoui.

«No, l’ho saputo appena lo hanno detto i giornali e allora sono subito andato alla polizia perché era ovvio che per me non era ancora finita».

"Voleva chiarire la sua posizione o aveva paura di altro?

«Tutti devono sapere che io non c’entro, che sono stato usato a mia insaputa. Voglio che sia chiaro a tutti quelli che vivono vicino a me e mi conoscono che non ho fatto nulla».

"Lei è credente? Cosa ha provato vedendo le stragi?

«Sì, sono musulmano e invece chi ha ucciso quelle persone non lo è. Sono solo fanatici. La mia religione non dice di uccidere. Quelle persone, quei fanatici, fanno del male a tutti noi, a tutti i credenti e a chi vuole solo vivere in pace».

"L’allenatore dell’Inter Mancini ha detto: «Mi ricordo bene di Ibrahim. Era un bravo ragazzo con qualità e voglia di diventare calciatore. È incredibile che, pur lui non entrandoci nulla, il suo nome sia associato a una tragedia».

«Mancini è stato come un padre per me. Parlava poco, ma io devo tutto all’Inter, a lui e al direttore sportivo Piero Ausilio. Non sono diventato un grande calciatore perché non avevo la testa. Volevo giocare subito, mi dissero che non ero pronto e di aspettare. Non ho voluto dare ascolto e sono finito al Twente, in Olanda. L’errore più grande della mia vita».

"Cosa farà adesso?

«Prenderò un avvocato per uscire da questo incubo. Gioco allo Schaerbeek e spero di trovare presto una squadra di livello. Magari in Italia».

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