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MASSIMO MORATTI: “MIO PADRE E LA GIOIA DI VIVERE”

Alessandro De Felice

MILANO – Il filo conduttore della serata, al Circolo Filologico di via Clerici a Milano, è il linguaggio degli anni sessanta, o detto con le parole del conduttore, Luciano Tellaroli, la ‘densità creativa’ di quella Milano....

MILANO - Il filo conduttore della serata, al Circolo Filologico di via Clerici a Milano, è il linguaggio degli anni sessanta, o detto con le parole del conduttore, Luciano Tellaroli, la 'densità creativa' di quella Milano. L'ospite è Massimo Moratti, presidente dell'Inter, anzi, l'ospite è suo padre Angelo, ripercorso attraverso un racconto denso, spontaneo, in cui si coglie quella Milano, che ha vissuto un periodo fortunato, perché c'erano uomini come Angelo Moratti a rappresentarla. "Quello che uomini come mio padre hanno sofferto della guerra, era la compressione della fantasia e della libertà". Inizia così il racconto di un padre, vissuto come "un genio, una persona che poteva far tutto", che ha regalato una vita "meravigliosa", passando dal buio del dopoguerra, alla ricerca nei primi anni cinquanta della possibilità di sognare, fino agli anni sessanta, quelli in cui realizzarli, i sogni, diventava davvero possibile. Come cornice Milano, "allora una città dove se volevi potevi creare, dove a casa arrivava gente diversa fra loro, filosofi, pittori, ricordo una casa sempre piena, senza grandi cene, ma con la voglia di stare insieme". Come compagna di viaggio la Grande Inter. "Avevo dieci anni ed ero in collegio, in Svizzera, è stata mia sorella a scrivermi, allora si scriveva, niente telefono, che papà era diventato Presidente dell'Inter e noi tutti l'abbiamo vissuta non tanto come una cosa di famiglia, piuttosto come una sua altra grande avventura. Per noi, papà poteva far tutto e tutto gli sarebbe riuscito". Erano anni in cui, dice Massimo Moratti, "le idee potevano diventare realtà". Racconta ancora di quella intuizione geniale della raffineria in Sicilia, della centrale elettrica in Umbria, delle due messe insieme da un politico che inaugurava la seconda lodando la prima, senza sapere che era la stessa persona, Angelo Moratti, ad aver realizzato entrambe. Racconta di sua madre, di quel concetto, che ha assorbito, secondo cui la "vita è un dono'. Parla di anni difficili, di Erminia Moratti ancora bambina in una casa di ringhiera al Ticinese, che va al pozzo a prendere l'acqua e lì trova un mondo di storie, e di come quelle storie, quei giorni, in cui la ricchezza era ancora di là da venire, venivano vissute come ricordi belli. E ancora di come la centrale in Umbria negli anni della seconda guerra mondiale venisse utilizzata come rifugio per chi ne aveva bisogno, di colazioni a famiglia riunita in cui il padre raccontava di quella guerra, passata a sfidare le bombe sui ponti per andare da Milano a Boschiesanuova, dove era sfollata la famiglia. Senza alcuna arroganza, nei racconti, anche questo è un concetto che esce dal racconto, l'arroganza "non c'era, mio padre lavorava moltissimo, nessuno era arrogante, l'invidia, il concetto di sfortuna, non venivano considerati". Eppure non tutto è stato facile, e ognuno "vive con un suo peso nel cuore". Ma Angelo ed Erminia Moratti erano persone con la voglia di vivere dentro, con degli obiettivi trasparenti. A margine, qualcuno ha chiesto se l'azionariato popolare ha un senso oggi nel calcio. "È una delle possibili idee per le società di calcio, ma bisogna studiarlo bene, con azionisti in grado di garantire cifre importanti. Certo, il calcio non è un'industria, il calcio sotrusice e vende i sogni dei tifosi, ecco perchè va trattato con rispetto". E ancora di quella Sardegna, diventata in quegli anni con la raffineria di Sarroch una seconda casa. "Un legame profondo, non solo per questioni industriali, ma di ambiente, di gente, anche di calcio. L'anno in cui il Cagliari vinse lo scudetto avevamo una quota azionaria, fu una stagione bellissima". E anche se è stata la famiglia Moratti a influenzare l'Inter, o viceversa. "Un'influenza reciproca, noi forzatamente abbiamo influenzato l'Inter, ma l'Inter è il tifoso, i suoi tifosi, e loro ti influenzano, con la loro passione, con la loro sofferenza. Nel calcio si soffre per un fatto puro, per voler bene".