Dal suo ritiro dal calcio giocato sono passate solo due settimane, troppe poche perchè il Principe, Diego Alberto Milito, smetta di catalizzare l'attenzione della stampa argentina. Diario Olè, il più celebre quotidiano albiceleste, lo ha intervistato a casa sua, dove l'ex attaccante nerazzurro ha ospitato un giornalista. Lunghissimo il dialogo tra i due, di cui vi riportiamo alcuni stralci.
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Milito: “Vi racconto tutto del mio ritiro. Inter, messaggi e porte sempre aperte…”
Dal suo ritiro dal calcio giocato sono passate solo due settimane, troppe poche perchè il Principe, Diego Alberto Milito, smetta di catalizzare l’attenzione della stampa argentina. Diario Olè, il più celebre quotidiano albiceleste, lo ha...
Come sto vivendo questa nuova tappa?
"E’ difficile raccontare la testa di un giocatore. Oggi mi godo le cose che prima non potevo fare: prendere un mate con il mio vecchio la mattina in officina, fare visita ai cugini, agli amici, o pagare una bolletta, portare i miei figli a scuola e andare a riprenderli. Allo stesso tempo, tuttavia, penso di essere in vacanza come il resto della squadra. Negli ultimi sei mesi sapevo che sarebbe successo questo. Però da lì ad essere preparati… Lo sentirò di più quando i ragazzi torneranno ad allenarsi, il 21. Oggi mi diverto, non ho voglia di giocare, anche se non posso stare molto tempo senza fare nulla. Una volta, dopo essermi operato, andai in Messico e mi portai un professore. All’Inter mi chiesero di non fare nulla. C’erano 40 gradi e io stavo in palestra. Un fottuto pazzo".
Ti sei rivisto in televisione in lacrime?
"Si, se ci penso mi scendono le lacrime… E’ stato un qualcosa di molto forte. Vedere i tifosi così… Ne ho parlato con i ragazzi. Un sacco di amici che non sono del Racing mi hanno detto: “Matto, mi hai fatto piangere…”. La gente del Racing è una cosa incredibile. Mi porto dietro questo: rispetto e amore. Questo vale più di qualsiasi titolo, è il massimo. Ricevere messaggi dal Saragozza, dall’Inter, dal Genoa, andare là e trovare sempre le porte aperte per me… Sono i valori che i miei genitori mi hanno sempre inculcato. Vi annoierei per quanto ringrazierei il Racing… Tanta gente… A parte gli scherzi, non so se mi merito così tanto".
Cos’hai sentito al fischio finale della partita con il Temperley?
"Ho perso una parte della mia vita, la mia casa. Giuro che nel secondo tempo non ci stavo più. Guardavo le tribune, l’erba, e pensavo: “Non correrò più da queste parti”. E’ stato molto forte: ho ricevuto il tributo e sono impazzito. Mi sentivo unico in quel momento. Ma allo stesso tempo mi sono tranquillizzato. Il mio sogno si era realizzato: ritirarmi con questa maglietta. E non tutti hanno questo sogno… Mia moglie mi ha detto: “Sognavi tutto questo, e guarda qua…”. Il calcio a volte ti catapulta da un’altra parte. Volevo ritirarmi bene, giocando. In molti mi chiedevano di giocare ancora sei mesi. Potevo, avrei potuto. Il problema è il come. Non volevo trascinarmi… Mi è costato, è normale"
E’ stato difficile sopportare gli ultimi tempi con la necessità di diverse cure al ginocchio sinistro?
"L’unica cosa del ritiro che ha reso felice mio figlio è stato il fatto di non vedermi più con il ghiaccio. “Basta col ghiaccio”, mi diceva. Voleva sempre giocare con me, ma io non potevo: “Sono col ghiaccio”. Mi ha ucciso il ginocchio. Da che mi sono fatto male contro il Guaranì, nel 2015, non sono guarito totalmente e ho sempre avuto dolori. Però mi sono divertito molto negli ultimi due anni, per me sono stati un regalo dal cielo, un regalo di Dio. Non è facile tornare nel calcio argentino e trovare un gruppo così buono sia sul lato umano che tecnico, con una fame incredibile"
I tuoi genitori come hanno vissuto il ritiro?
"Mio padre è abbastanza grande ma non smette di emozionarsi. Per loro, sono stato molto forte. Oggi, che sono padre, li capisco. Se mio figlio Leandro dovesse vivere una cosa del genere, io muoio. Una dimostrazione d’affetto immensa. Mio padre era più duro, ma gli anni lo hanno ammorbidito. L’ho visto piangere. E mia moglie è un genio, per quello che ha sopportato… Non voleva perdersi l’ultima partita, piangeva per non poter essere al campo. Non voleva che nascesse Morena per non influenzarmi, l’ho visto in ospedale. Sperava di poter aspettare fino alla domenica, ma non poteva farcela. Ed è nata proprio il giorno del mio ritiro. Fantasticavamo sulla possibilità che nascesse il 22, ma è voluta arrivare prima"
Com’è avere una strada intitolata al proprio nome?
"E’ un qualcosa di troppo forte, mai me lo sarei immaginato. Mi ha dato un po’ di imbarazzo, di vergogna. Non è che un orgoglio per me e la mia famiglia. Il Racing ha avuto grandi mostri, grandi idoli che hanno fatto la storia del club. E vedere il mio nome lì..."
Cosa sogni ora per il Racing?
"Voglio che sia competitivo, sogno che abbia un livello europeo. Perchè il Racing è un club così. Ha il potenziale, questo mi fa arrabbiare. Il Racing è immenso. Io ho vissuto l’epoca del fallimento... Arrivavamo al campo con il pulmino, poi il Racing non lo aveva pagato e ci rimandavano indietro. Andammo a giocare in Cile per una caldaia. Ci allenavamo in quarta divisione e non avevamo la possibilità di poterci lavare con acqua calda, perchè il sesto ragazzo che entrava nello spogliatoio si sarebbe lavato con l’acqua fredda in pieno inverno. Ora è cambiato tutto al Racing, oggi vedo il centro sportivo Tita, mio figlio gioca lì, si allena e ha tutti i vestiti firmati Racing. Basta? No... il Racing deve continuare così, io farò impazzire Blanco fino al mal di testa perchè continui così. Le strutture le avevamo comunque, ma oggi sembra la Disney".
Parli già come dirigente...
"Parlo da tifoso. Divento pazzo io... Voglio che la gente vada a vedere il centro sportivo di Ezeiza e dica: “Matto, guarda che posto è questo!”. Come lo hanno il Milan, l’Inter, il Real Madrid... Voglio un Cilindro all’ultimo modello, i migliori campi d’allenamento. Credo che tutti i tifosi sognino questo. E non è impossibile... Perchè dovrebbe essere impossibile? Si parla di desideri. A tutti ci piacerebbe, è quello che sogno... ossia che il Racing sia un club modello"
E allo stesso modo devi sognare di essere campione da allenatore, sicuro
"La vedo come una cosa lontana, non è tanto facile. Chiaro che un giorno mi piacerebbe, ma prima devo camminare per la mia strada"
Se ti chiamano per un posto nello staff tecnico?
"Victor Blanco me lo ha proposto, e ti rispondo esattamente come ho fatto con lui: è un onore, sarò sempre con il club, qualsiasi cosa sia. Ma non è il momento ora, non mi piacciono le cose forzate. Ho bisogno di provare la nostalgia del passaggio da giocatore ad ex, allontanarmi per un po’ di tempo mi servirà. Se oggi accetto, devo prendere delle decisioni. E non posso farlo con ragazzi che mi hanno dato la vita. Perchè questo gruppo mi ha dato la vita. Victor lo ha capito... Mi sembra brutto. Non lo escludo in futuro, però oggi non è il momento di pensarci. Oggi non posso, questo gruppo è mio, mi spiace".
L’abbraccio con Saja nel momento dell’addio?
"Quando Sebastian mi ha dato la targhetta, quando l’ho abbracciato, piangendo, gli ho detto: “E’ davvero ingiusto”. Non potevo più... E lui mi ha risposto: “Diego, le cose non sempre accadono come uno vuole o se le immagina"
(Olè)
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