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Massimiliano Mirabelli ha rilasciato ai microfoni di Calciomercato.com una lunga intervista. Tanta Inter nei temi trattati, dai ricordi del passato come osservatore al passaggio in rossonero. Ecco i passaggi fondamentali:
Colpo di fulmine per un giocatore: “Ricordo un grande classico d’Argentina, ero alla Bombonera e si giocava Boca-River. Lo stadio era una bolgia, pieno in ogni ordine di poso. Guardavo la partita con grandi aspettative ma nessuno mi fece realmente impazzire e rientrai in albergo un po’ deluso a riempire i miei fogli. Il giorno dopo mi ripresentai alla Bombonera, questa volta era vuoto e si giocava nuovamente Boca-River, ma con i rispettivi settori giovanili. Niente a che vedere con lo spettacolo in tribuna del giorno prima, eppure in campo c’era qualcosa di speciale. Un ragazzino che dominava il centrocampo con una personalità che si distingueva. Faceva sembrare tutto semplice. A un certo punto la sua squadra rimane in dieci e il tecnico lo abbassa come centrale di difesa. Fa benissimo anche lì. Allora torno in Italia e racconto tutto sia a Mancini che a Piero Ausilio. Gli dico che ne ho visto uno veramente forte, il nome è Rodrigo Bentancur e si può prendere a fronte di un investimento non troppo esoso. Per la società era un momento complicatissimo. Nel pieno dell’era Thohir e della stretta fortissima del fair play finanziario. Anche piccoli investimenti sembravano montagne da scalare. Da quella partita in verità tornai con due segnalazioni, l’altro calciatore era Palacios, di cui sentirete parlare sempre di più”.
Il rapporto incrinato con Ausilio:"L'Inter ha rappresentato la possibilità che aspettavo da tempo. Avevo conosciuto tutto delle categorie inferiori ma volevo aprirmi al mondo. Avvertivo l’esigenza di studiare nuovi profili, volevo in qualche modo rompere gli argini e Ausilio me ne ha dato modo. Ausilio non ha preso bene il mio passaggio al Milan? È una cosa che ancora adesso mi provoca dispiacere. Piero è una persona cui ho voluto e voglio un gran bene. A lui devo molto, un uomo con valori che condivido, un professionista serio. Se ci siamo chiariti? Mai per come avrei voluto. Ci siamo incrociati in occasione di qualche derby ripromettendoci una cena che per mille motivi diversi non si è mai svolta. Ma prima o poi accadrà, magari al termine di questo brutto periodo che stiamo vivendo”.
Mancini, il fuoriclasse: “Un uomo di una classe incredibile, sotto tutti i punti di vista. Ricordo che ad Appiano era consuetudine girare in tenuta sportiva, ma mentre noi comuni mortali potevamo apparire dei pezzenti, lui, che pure indossava la stessa e identica tuta, pareva sfoggiasse abiti sartoriali. Non me ne sono mai fatto una ragione. Mancini è incredibile nel modo di porsi, nell’impostazione del lavoro. È nato per vincere e non ha paura del fallimento. Ascoltatelo nelle interviste, è diverso dagli altri. Gli allenatori mettono le mani avanti, dicendo che l’erba del vicino è sempre più verde, che il lavoro degli altri è partito prima, che bisogna costruire. Le inventano tutte per togliersi di dosso responsabilità che poi la stampa potrebbe fargli pagare. Mancini invece se ne frega, anche da ct, lui gioca l’Europeo e si presenta per vincerlo. Solo chi è grande come lui non si cura di certi rischi. Ha una grandissima predisposizione al talento. Lo riconosce, lo annusa e lo porta in superficie. Sa mettere insieme quelli che giocano bene al pallone e soprattutto sa correggere i giovani che sbagliano. Sa insegnare e i calciatori lo ascoltano perché prima di diventare professionisti guardavano i video dei suoi gol a bocca aperta. Ha credibilità. Mancini ascolta, è aperto al dialogo e apprezza chi con umiltà espone i propri punti di vista senza pensare al rischio che potrebbe comportare l’esposizione di idee diverse. Abbiamo parlato tanto di calcio, di calciatori, di idee. Se Mancini non fosse andato via dall'Inter io non sarei andato al Milan? Non è semplice rispondere a questa domanda ma forse la sua scelta ha in qualche modo influenzato la mia. Il Milan rappresentava comunque un’esperienza da vivere, passavo da capo scout alla gestione tecnica di una società. Ho scelto anche rischiando, perché dopo aver lasciato l’Inter ho atteso per mesi un closing che a un certo punto sembrava destinato a non realizzarsi”.
Le difficoltà di Eriksen? “Per me è un calciatore formidabile, un trequartista come ne esistono pochi in circolazione. Può giocare anche da interno di centrocampo ma a patto che accanto a lui ci siano calciatori che possano bilanciare la squadra. Detto questo, non devo insegnare nulla a Conte, che reputo uno degli allenatori più intelligenti e preparati al mondo. Dicono sia integralista, ma lui partiva da idee tattiche diverse, io lo ricordo il suo 4-2-4 e ricordo anche quando modificò la Juve in funzione di Pirlo. Per questo non mi sorprenderei nel vedergli cambiare modulo anche all’Inter. Anche perché credo che lì il problema sia diverso. Quale? La difesa. Se vuoi giocare a tre, a turno, uno dei due laterali deve dare appoggio al centrocampo e né Skriniar né Godin sanno interpretare questo tipo di ruolo. Non ce l’hanno nelle caratteristiche. Bastoni un po’ di più, ma anche lui non è abbastanza pronto. L’unico a proprio agio è de Vrij al centro, ma gli altri si perdono e per questo motivo credo che alla fine si possa andare verso altre soluzioni”.
(Calciomercato.com)
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