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Qual è stata la scintilla?
—«Mio padre Hamlet. Giocava in Francia in una squadra di calciatori di origine armena. Mi ha dato la spinta a voler arrivare in alto», ricorda Henrick parlando del papà scomparso ad appena 34 anni. Suo figlio di 4 anni porta lo stesso nome, poi c’è Lilia di 10 mesi. «Ho scelto la mia strada senza pensare ai soldi, sapendo che avevo abbastanza per sostenere la mia famiglia. Non c’erano cinesi o sauditi, ma non andrei mai in quei campionati. Ho imparato tanto da 4 mesi al San Paolo a 13 anni. La mia squadra armena, il Pyunik, organizzava scambi con il club brasiliano».
Lucescu, Klopp, Wenger, Mourinho: cosa le hanno insegnato questi grandi tecnici?
—«Mi hanno fatto crescere come persona. Ho capito che prima ero troppo gentile. Adesso non sono cattivo, mail mondo del calcio ti obbliga a essere un po’ bastardo. Tutti vogliono arrivare al top: non è un ambiente così bello come tutti pensano».
Quando parla di Wenger, le brillano gli occhi.
—«Mi ha colpito al primo incontro. Conosceva la situazione di ogni Paese. Mi ha parlato della storia dell’Armenia. Ci ripeteva: “Dovete essere padroni delle vostre scelte e sentire il piacere di giocare”. È stato un romantico del calcio. Adesso che lavora per la Fifa gli direi che calciatori e allenatori devono essere più coinvolti. Chi non ha mai giocato non può sapere cosa serve».
Giocare a scacchi aiuta sul campo da calcio?
—«Insegna a pensare in anticipo, come bisogna fare in campo. Mi applico seriamente da quando ho 20 anni e sono migliorato come calciatore. Gioco on line quando non riesco a dormire, dopo le partite. Sto studiando nuove tattiche su libri e siti specializzati».
(Fonte: La Stampa)
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