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Inter, Moratti: “Derby? Ricordo il 1960, quante lacrime dopo lo 0-6. L’ossessione di Berti…”

Le parole di Moratti al Corriere della Sera

Matteo Pifferi

Lunga intervista concessa da Massimo Morattial Corriere della Sera in vista del derby. Ecco le parole dell'ex presidente dell'Inter.

Cioè, se abbiamo capito bene, lei ha appena detto che fra tutte le partite del campionato il derby è la più facile.

"Confermo. Così ho sempre ripetuto alla vigilia quando incontrato la squadra".

Porti pazienza: ma più facile in che senso?

"Trovavo giocatori tesissimi. Anche quelli di maggiore esperienza. Del derby non bisogna nemmeno parlarne, ripetevo, è retorico elencare le motivazioni, è una sfida che semplicemente dobbiamo vincere e vinceremo. Punto. Dove sta il problema?".

Lo stadio pieno, le aspettative dei tifosi, la vera incidenza del risultato al di là della classifica...

"Mi viene in mente Ottavio Bianchi. No, lasciamo perdere".

Che cosa fece?

"Un uomo duro, spigoloso, senza sconti, sempre dritto per la sua strada".

E' stato l'allenatore del suo primo derby. Nel 1995, l'anno in cui lei, Massimo Moratti, comprò l'Inter.

"Appunto".

Vittoria per 3-1.

"Partita incredibile. Eravamo sfavoriti. E di parecchio. Entrando allo stadio, incontrai Berlusconi e Galliani. Dissi, scherzando ma non troppo, di andarci piano. Ridevano sereni... Era comunque il Milan di signori calciatori, grandi calciatori. Bianchi arringò la squadra per una buona mezz'ora. Le risparmio quale fu il suo bersaglio preferito. Un signore che non gli è mai andato a genio. Un'antipatia, ma un'antipatia... Non aggiungo altro".

Sicuro?

"Sì, dai".

D'accordo. Senta, tolte le parole su quel signore cosa disse Bianchi?

"Allora... Impostò il suo discorso sulla differenza tra le due squadre e i calciatori. Voi, disse ai nostri, siete quelli seri, quelli perbene, quelli umili, tra voi e loro c'è di mezzo l'oceano, di più dell'oceano, c'è di mezzo la volta celeste, per come vivete, per come state in campo, e insomma il derby di Milano, concluse Bianchi, non possono mica vincerlo quelli lì. Altrimenti non sarà stato un vero derby di Milano".

Segnarono Seno, Jonk e Berti.

"Pre-partita, scendo negli spogliatoi, dopo l'arringa di Bianchi il medico si avvicina e dice: 'Presidente, Senso non sta in piedi. Ha un ginocchio più che malandato, rischiamo di rovinargli la carriera'. Ne parliamo con Bianchi e Bianchi valuta che non è il caso. Senonché..."

Senonché?

"Seno aveva drizzato le orecchie. S'impuntò: 'Se pensate che salti il derby, con permesso, ma siete matti'. Giocò e naturalmente fece una prestazione straordinaria, gol incluso".

Come tutte le cose dell'esistenza, ci si fa l'abitudine anche ad un derby?

"E' dura. L'importante è non arrivare all'ossessione di Berti. Attaccava un mese prima: 'Presidente, c'è il derby'. E io: "Berti, lo so benissimo, ma mancano quattro settimane". La volta dopo: "Presidente, ci siamo". "Berti, stia tranquillo, ci sono prima altre partite". A due settimane di distanza: "Presidente, non dormo per il derby". Inutile parlare dei giorni immediatamente a ridosso.

E tutti gli altri calciatori?

"Mai nessuno come lui. Berti era in trance, ogni funzione vitale sintonizzata sul derby. Per certi versi, posso capirlo. Mi succedeva da bambino. Uscito dallo stadio, ero talmente stremato dalle emozioni che mi addormentavo in macchina. Mi sedevo e gli occhi si chiudevano da soli".

Sveniva?

"No, non esageriamo. Però accusavo incredibilmente... Forse un motivo c'era".

Quale?

"Lo schieravano Nordahl. Mi faceva paura. Era tipo Barbablù. Arrivavo in tribuna, vedevo quella figura enorme in mezzo al campo e mi prendevano i brividi. Ero terrorizzato".

A proposito. Lo sa che non possiamo non parlarne? Ci accuserebbero di insabbiare...

"Mi è tornata in mente in questi giorni, ero convinto di aver rimosso tutto. Di quella sconfitta per 0 a 6 ricordo ancora i pianti".

Di chi?

"Della squadra".

Dopo?

"Durante. All'intervallo. Scesi nello spogliatoio e qualcuno piangeva".

In senso figurato?

"Letterale. Lacrime vere, copiose. Non è possibile, pensavo, questi qui piangono. Non ci potevo credere. Piangevano davvero".

Come ne uscì?

"Il calcio a volte è imprevedibile; forza e coraggio, dissi, ci basta un gol e possiamo tornare a sperare. Forza e coraggio".

Invece?

"Sullo 0 a 5 lasciai lo stadio".

E il giorno dopo?

"Niente".

Come niente?

"A meno che non ci fosse stato dolo, le strigliate erano inutili. Non serve l'autorità a danno fatto. Devi sostenere, consolare, tirare su il morale. All'autorità ricorri altre volte, quando la squadra vince e rischia di cullarsi sugli allori. E' un po' come con i figli. A proposito: non so ancora se andrò a vedere il derby, decideranno loro. Se uno domanderà: 'Papà, la vediamo insieme in televisione?ì, ecco starò a casa. Sei felice quando sono felici. Non cambia mai, per tutta la vita continui a considerarli come i tuoi bimbi, indipendentemente dall'età".

Non le abbiamo ancora chiesto il suo derby preferito?

"Il 1960. Uno a zero. Perché Herrera si inventò questa mossa vincente, che a qualcuno parve l'ennesima follia di HH: l'ala tornante Bicicli in marcatura su Sani, alla fine talmente asfissiato da alzare di peso Bicicli e lanciarlo in aria. E poi, poi perché segno Picchi. E Picchi, come Facchetti, non avrebbe potuto essere capitano se non dell'Inter. E farci vincere il derby".

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