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Moratti: “Con Conte un solco, Inzaghi sorprenderà. Ronaldo? Avevo un altro sogno”

Marco Astori

L'ex patron nerazzurro ha concesso un'intervista ai microfoni del Corriere della Sera

Massimo Moratti, ex presidente dell'Inter, ha rilasciato un'intervista ai microfoni di Sette, inserto del Corriere della Sera, nella quale ha ripercorso la storia del club e non solo. Queste le sue parole.

È stata più importante la Grande Inter di papà o la sua?

«Di Grande Inter ce n’è stata una sola, che ha cambiato il corso della storia del calcio, quella di mio padre. Vincere due Coppe dei Campioni di seguito è stata un’impresa davvero epica. E avevamo ormai conquistato la terza, in quella finale col Celtic, perfino facile eppure persa, ancora non si sa come. Ad ogni modo l’Inter di Herrera e quella di Mourinho hanno molte affascinanti analogie, a partire proprio dai tecnici».

E forse anche dai presidenti. Tanti ricordi, tanti protagonisti che non ci sono più.

«Ma ci saranno sempre. Penso a Burgnich e a Corso, che ci hanno lasciato di recente e troppo presto, ma anche Picchi a cinquant’anni dalla scomparsa. Per loro ogni interista avrà un eterno debito di riconoscenza. Mi ha scosso la morte di Tarcisio, era il più riservato di tutti, ma era anche il più forte, quello che dava sicurezza e a cui ci si affidava totalmente. Senza di lui ci sentiamo tutti un po’ più soli».

Nel 1995 aveva appena rilevato la società nerazzurra da Pellegrini e ingaggiò Paul Ince, il capitano di colore dell’Inghilterra. Qualcuno cercò di dissuaderla. L’Italia non è pronta, le dicevano.

«Non capivo il problema, era una cosa talmente assurda: volevo semplicemente i più forti per l’Inter, avevo preso Zanetti, Roberto Carlos e, dal Manchester United, acquistai Ince, un trascinatore. E San Siro lo fece diventare presto il suo idolo. Perché alla fine a vincere è la bellezza».

Ince doveva arrivare insieme a Eric Cantona.

«Era il mio sogno: forza, classe, personalità. Non venne perché voleva farsi perdonare dallo United la lunga squalifica per aver sferrato un colpo di kung fu a un tifoso avversario che gli aveva fatto un saluto nazista invitandolo a tornare al suo Paese. Gli idioti non hanno confini».

Tornando indietro “baratterebbe” Ronaldo con Cantona?

«No, Ronaldo era un fenomeno unico, nonostante i problemi. È stato il mio orgoglio da presidente. Sa come mi sono deciso a prenderlo? Era l’aprile del 1997, stavo tornando in auto da Firenze dopo uno 0-0 e il mio autista, Dante, cominciò a borbottare perché da un po’ di tempo l’Inter non brillava più. E io quasi contrariato gli risposi: allora compriamoci Ronaldo così vinceremo sempre! Da quella battuta un po’ provocatoria prese corpo piano piano la convinzione di provarci davvero».

E quando Moratti ci prova, è fatta. Una cinquantina di miliardi per la clausola rescissoria e la favola divenne realtà.

«Non fu così facile perché a Barcellona si scatenò il finimondo. Perfino le banche catalane si rifiutarono di accettare il pagamento così dovemmo optare per una di Madrid. Lì erano molto contenti che il Fenomeno abbandonasse gli avversari storici del Real. Ma valse la pena, lo spettacolo messo in scena da Ronaldo a San Siro, almeno nella prima stagione, è paragonabile solo alle prodezze di Peppino Meazza, di cui tanto mi parlava mio padre».

È vero che Zhang la chiama ancora quando ha dei dubbi?

«È un ragazzo gentile, umile e intelligente. Mi aggiorna su quello che sta facendo ma ha le idee chiare e non è mai ossessivo».

Per mantenere oggi una squadra di serie A bisogna essere uno zar, un maraja, un petroliere texano o il rampollo di una holding cinese da trecentomila dipendenti come Suning?

«Gestire un club è davvero un impegno economicamente spaventoso, non è più per famiglie appassionate».

«Credo di no. Tra tecnico e società si è venuto a creare un solco. Ma con Conte la squadra ha fatto un salto di qualità, ha preso coscienza della propria forza, ha acquisito una nuova personalità».

Ora c’è Inzaghi, Simone.

«Che è molto diverso da Conte, nello stile, nella tattica, nella personalità. Certo, con Conte si poteva mettere in cantiere il secondo scudetto consecutivo, quello della stella, ma forse il nuovo tecnico ci sorprenderà».

Il nuovo stadio?

«Mi sembra un progetto già antico. Non credo esistano le condizioni per accumulare ulteriori debiti, anche perché uno stadio c’è già e non è male, direi che è uno dei più belli del mondo».

Gli Europei?

«Saranno il rilancio ufficiale del calcio italiano».