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Giuseppe Narducci, il famoso pm di calciopoli, ora è assessore ai diritti e alla sicurezza del Comune di Napoli, in un'intervista alla Gazzetta dello Sport, e' tornato sulla vicenda dello scudetto 2006 ed alla posizione di Giacinto Facchetti: "
Dottor Narducci, la sua è stata una fuga da Calciopoli?«No. Il mio lavoro nel processo era comunque finito. L'inchiesta era partita nel settembre del 2004. C'è stata, anche se ormai molti lo dimenticano, una prima sentenza emessa, quella con rito abbreviato. Ho battuto il mio record personale con oltre diciotto ore di requisitoria. Ormai Calciopoli attende solo la sentenza. E io ho potuto scegliere di mettermi al servizio della città».
Ma perché lei disse «Piaccia o non piaccia, non ci sono telefonate di altri dirigenti coi designatori» quando queste chiamate esistevano?«Quella frase è stata sempre e volutamente equivocata. Era inserita nel contesto del processo e significava che non avevamo altre telefonate "penalmente rilevanti" nel fascicolo. Come potevamo pensare che in un'intera stagione, con 170 mila telefonate intercettate, Bergamo e Pairetto non avessero parlato con altri dirigenti di società? Saremmo stati degli stupidi».
La Federcalcio sottolinea che quelle «altre telefonate» non le ha mai avute.«La Federcalcio venne da noi appena scoppiato pubblicamente il caso Calciopoli, siamo ai primi di giugno 2006. Ci chiese immediatamente tutta la documentazione in nostro possesso e noi aderimmo all'invito. Consegnammo le carte sulle quali stavamo lavorando».
Quindi a Borrelli e a Rossi consegnaste solo le informative dell'inchiesta?«Noi ci concentravamo sulla nostra indagine, sul reato. Dopodiché, più tardi, le telefonate sono entrate nella disponibilità di tutte le parti».
Recentemente i periti della difesa di Luciano Moggi hanno trovato nei brogliacci telefonate segnate dai carabinieri con «baffi» rossi, quindi giudicate rilevanti secondo un ipotetico codice di lavoro, che si riferivano proprio alle intercettazioni bis.«Vorrei proprio vederli quei brogliacci: sono in bianco e nero, come sono stati visti i colori?».
Comunque quelle chiamate ci sono.«Si parla delle telefonate di Facchetti e di altri dirigenti come se ci fosse un filo diretto analogo a quello che noi abbiamo evidenziato per Moggi e l'associazione sotto processo. Si è cercato di far passare il concetto che tutti facevano le stesse cose e che quindi non c'era colpevolezza. Non è vero! C'è stata una campagna furibonda per affermare: tutti responsabili, nessun responsabile. Non era così».
Ma ci sono decine di chiamate in cui i dirigenti dell'Inter, e non solo loro, parlano con i designatori.«Quelle telefonate non hanno valore penale. Non c'entrano niente con la struttura di potere che scoprimmo e che governava tutto il calcio professionistico italiano. Un qualcosa di unico che non aveva paragoni con il passato, un'associazione che non metteva insieme solo uomini e società, prima fra tutte quella di Luciano Moggi, ma anche alcuni pezzi delle strutture federali. L'associazione aveva in mano i designatori. C'erano i cellulari con schede svizzere che solo in parte abbiamo potuto ascoltare, quando ne identificavamo uno da intercettare i numeri cambiavano. E c'erano i sorteggi».
Che notai e diversi «giornalisti-sorteggiatori» hanno definito regolari.«Ci sono le testimonianze degli impiegati della Commissione Arbitrale, Dario Galati e Manfredi Martino. I giornalisti che partecipavano al sorteggio erano inconsapevoli di quello che avveniva e non avevano alcuna possibilità di controllo».
Calciopoli è finita?«La questione morale nel calcio è senza fine. Si parte dal calcioscommesse del 1980, poi nel 1986 e via via gli altri, fino a oggi. Anche quest'anno c'è stato un altro scandalo e alla fine si ritrovano gli stessi personaggi di un'analoga inchiesta che Beatrice e io portammo avanti nel 2004. Fra l'altro fu quello che aprì la strada a Calciopoli. Ma Calciopoli è stata unica. Oggi non abbiamo nessun elemento per pensare che esista una struttura con quello strapotere sul calcio. Almeno a questo la nostra inchiesta è servita».
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