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PAOLILLO CI SPIEGA IL FAIR PLAY FINANZIARIO: “RIFORMA NECESSARIA. IL VANTAGGIO DI BARCELLONA E REAL E’…”

Da quando Massimo Moratti ha utilizzato il termine “fair play finanziario” per giustificare l’esigenza di una cessione, molti tifosi si stanno chiedendo che cosa voglia realmente dire questo termine. Il Sole 24 ore, con la...

Daniele Mari

Da quando Massimo Moratti ha utilizzato il termine "fair play finanziario" per giustificare l'esigenza di una cessione, molti tifosi si stanno chiedendo che cosa voglia realmente dire questo termine.

Il Sole 24 ore, con la collaborazione di Ernesto Paolillo, amministratore delegato dell'Inter, ha cercato di rispondere a questa domanda, spiegando dettagliatamente che cosa significano le nuove normative Uefa in termini di bilancio, anche e soprattutto per quanto riguarda la tempistica:

Ecco l'articolo del Sole 24 Ore e le parole di Ernesto Paolillo:

Troppi debiti. Troppi "nababbi" che ripianano le "voragini" di bilancio, ma solo fino a quando hanno soldi o ne hanno voglia. Con il rischio di fare implodere il ciocattolo. Così, l'industria "pallonara" è corsa ai ripari. Michel Platinì, da presidente dell'Uefa, ha voluto che il fairplay (o presunto tale) uscisse dal campo per entrare nei conti delle squadre. Il 27 maggio scorso il Comitato esecutivo Uefa ha dato l'ok, d'intesa con l'Associazione club europei (Eca), alle linee guida del progetto: i club non devono spendere più di quanto ricavato; nessun debito arretrato durante la stagione, verso i club, i dipendenti e/o autorità sociali e fiscali; maggiore trasparenza finanziaria da parte delle società. I tempi del fairplay economico Ora le linee guida vanno specificate e concretizzate: il passaggio era atteso in settimana ma non se ne fatto ancora nulla. Comunque, gli step essenziali potrebbero essere i seguenti: nel bienno 2010- 2012 non dovrebbe esserci alcuna applicazione delle limitazioni; solo una supervisione dell'Uefa che, ne caso di una gestione eccessivamente "allegra", potrà sfociare in un warning preventivo. Come a dire: «attenzione, se continui così non ce la farai a perseguire gli obiettivi richiesti».Una riforma graduale Già, gli obiettivi. Nel 2018-2019 si dovrà centrare il break even tra ricavi e spese. Un target che, ovviamente, verrà raggiunto gradualmente. Nel triennio 2012-2015 le perdite, cioè l'eventuale eccesso delle spese rispetto ai ricavi, non potranno superare il valore complessivo di 45 milioni, con una media di 15 milioni all'anno. Se, però, nel primo anno la società avrà un rosso di 45 milioni, nelle successive due stagioni potrà spendere più nulla. Questo meccanismo, tuttavia, sarà applicabile solamente nel caso in cui si proceda ad un aumento di capitale che ripiani la perdita stessa; altrimenti, il limite massimo è di 5 milioni. Un "cuscinetto" da tre miloni Nel trienno 2015-2019 il tetto massimo complessivo delle perdite sarà di 30 milioni. Anche qui, però, vale solo nell'ipotesi di aumento di capitale. Alla fine di questo graduale apprendistato di fairplay finanziario, si dovrà raggiungere il pareggio tra costi e ricavi. Anche se, poi, potrebbe essere ammesso un rosso di 3 milioni all'anno da valutare caso per caso. Una sorta di "cuscinetto" per quelle società che, magari retrocesse, devono dribblare un calo dei ricavi.

Gli Under 18 non saranno dei "costi"... Fin qui i numeri, ma quali gli elementi che andranno a costituire costi e ricavi? In generale, secondo quanto risulta al sole24ore.com, gli stipendi, le spese d'acquisto, gli ingaggi dei giocatori under 18 non dovrebbero essere contabilizzati come spese. Si tratta di un'impostazione volta a favorire gli investimenti nei settori giovanili. ...così come le spese per la costruzione di nuovi impianti Alla stesso modo non saranno contabilizzati come costi gli investimenti per la costruzione di un impianto sportivo, per il tempo in cui sarà ammortizzata la spesa. Ma se questi sono alcuni degli elementi che caratterizzeranno il fairplay finanzario di Platinì, quale l'effetto reale sui conti? L'idea della Uefa, e dell'Eca, è quella di ricondurre il business nei giusti binari, dando l'opportunità anche a chi ha meno risorse di dire la sua. Il risultato, tuttavia, non è così lineare. L'applicazione delle nuove regole a paesi con normative differenti crea, giocoforza, delle distorsioni. La parola a Ernesto Paolillo, ceo e direttore generale dell'Inter La legge spagnola, per esempio, considera i versamenti dei soci delle società cooperative non alla stregua dell'aumento di capitale, bensì come ricavi. Quindi per i club iberici, quali per esempio Barcellona o Real Madrid, il vantaggio non è da poco: potranno far passare per fatturato ciò che le altre società devono inserire nei costi. «Si tratta di una situazione - dice Ernesto Paolillo, amministratore delegato e direttore generale dell'Inter, nonché presidente della commissione congiunta tra Uefa e Eca - cui non può porsi rimedio dall'esterno: la legge civilistica in Spagna è quella. L'unica possibilità è che gli altri club spagnoli, non costituiti in forma cooperativa, sollevino loro il problema della disparità di trattamento». E la strada dell'azionariato popolare in Italia, non è perseguibile? «Non lo credo: non siamo preparati ad un simile approccio. In particolare, non vedo una tifoseria pronta a compire un tale passo».Il ritardo sugli stadi Ma non è solo la questione dei soci. È indubbio che chi può vantare uno stadio di sua proprietà ha un vantaggio non da poco: in Italia, solo la Juventus si trova in questa situazione: «In effetti è un handicap, ma è colpa nostra - sottolinea il manager dell'Inter- . Paghiamo l'incapacità nell'affrontare la questione e la mancata programmazione». Eppure si parla di un disegno di legge per gli stadi da parecchio tempo... «Sì ma non siamo in grado di fare sistema - dice Paolillo -. L'industria del pallone è troppo divisa: basta vedere come cosa succede in Lega dove, per arrivare a prendere qualsiasi decisione, sono necessari tempi lunghissimi e mediazioni infinite. Il problema dei nuovi impianti è solo un'espressione particolare di questa situazione generale». Da cui conseguono effetti negativi non da poco...«Da un lato - spiega Paolillo -, siamo costretti a pagare gli affitti degli impianti, facendo aumentare la voce di spesa dei club; dall'altro, non possiamo far vivere lo stadio per l'intera settimana e rinunciamo a importanti potenziali ricavi. Basta pensare, per esempio, alla costruzione di palestre o ristoranti. Per non parlare, poi, dell'impossibilità di inserirsi stabilmente nel giro dei grandi concerti di musica». Insomma, di nuovo: mentre all'estero, in Spagna o Inghilterra, lo stadio non è solo calcio, nella penisola tutto ciò non avviene. E, alla fine, si fa (o si è costretti a fare) il contrario di quella che è nella filosofia del fairplay finanziario: si spende di più, a fronte di minori ricavi. Il problema della contraffazione dei gadget E non è finita qui. Le note dolenti arrivano anche dalle sponsorizzazioni e dal merchandising. Come indica una ricerca di StageUp - Sport & Leisure Business, la percentuale media del fatturato per i club italiani, al netto di diritti tv e biglietti, si attesta a quota 21,6 per cento. Una cifra ben più bassa di quella della Bundesliga (45,4%); ma anche inferiore a ciò che accade nella Premier league inglese (27,6%) e nella Liga ( 22,4%) spagnola. «Sono indicazioni che non mi stupiscono -afferma Paolillo -. In Italia la contraffazione dei gadget delle società è un grosso problema. Fuori dagli stadi ci sono troppe bancarelle che vendono magliette e sciarpe non ufficiali. Su questo punto voglio però essere chiaro». Vale a dire? «I club non possono farsi carico del probelma: è necessaria una nuova legge che contrasti il fenomeno; è lo Stato che deve intervenire». Una riforma «necessaria e non può derogabile» Alla fine, insomma, viene da chiedersi se questa riforma non sia un male per il calcio italiano... «Non facciamo confusione -ribatte il manager dell'Inter- . Si tratta di una normativa necessaria e non più derogabile. L'Uefa si è accorta che in Europa, ma anche in alcune squadre di serie minori in Italia, i problemi di bilancio ci sono e sono notevoli. Bisognava evitare che, un po' come è stato per il virus dei subprime nella finanza, si lasciasse spazio all'effetto valanga. L'intervento è giusto e va sostenuto: per il bene dell'industria del calcio».