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«Mi creda, abbiamo evitato una strage». Sono queste le prime parole pronunciate da Marcello Cardona, Questore di Milano, ai microfoni della Gazzetta dello Sport in una intervista rilasciata con l'intento di far chiarezza su quanto accaduto la sera di Inter-Napoli.
Signor questore, a che punto sono le indagini?
«Siamo già andati molto avanti, 9 indagati e 3 arresti a poche ore dai fatti. Gli incidenti hanno coinvolto molte persone, c’è una mole di materiale da esaminare. Consideriamo i filmati, e non parlo solo di telecamere ma anche di video da telefonini, per esempio».
Chi ha investito la vittima? Si parla di veicoli non direttamente interessati dalla rissa.
«Questo è un aspetto da approfondire, stiamo studiando diverse ipotesi. Potrebbe essere che a investire il tifoso sia stata una persona estranea agli incidenti, che passava casualmente. Visto il caos, ha pensato solo ad allontanarsi, perché magari viaggiava con bambini, per fare un esempio. E magari non si è reso neanche conto di aver investito qualcuno».
C’è un’indagine sui tifosi violenti? Non solo a Milano.
«Certamente sì. E dà frutti, perché episodi simili sono calati, grazie per esempio al lavoro dell’Osservatorio diretto dalla dottoressa Daniela Stradiotto. Sono state prese misure fondamentali. Era una partita a rischio e ci siamo mossi di conseguenza. Poi non tutto è prevedibile».
È stato o no un agguato?
«Agguato o no, è stata una dinamica complessa solo in apparenza. Io lo definisco fatto demenziale. Aggredire altre persone per una partita è aberrante e demenziale. Ma un paradosso figlio dei nostri tempi. Che piaccia o meno, la violenza fa parte della nostra società. Guardi quanta gente pratica “turismo del terremoto”, va sui luoghi di devastazione a farsi fotografie. Proietti tutto questo su altri campi...».
Negli incidenti sarebbero coinvolti tifosi del Varese e del Nizza. Scusi, ci consente l’espressione «fratellanza di battaglia»?
«Cancellerei la parola battaglia, innanzitutto. Eppoi, mi perdoni, la “fratellanza” tra tifosi è una cosa positiva, è un valore da preservare. Il calcio crea fratellanza tra tifosi di squadre diverse, che c’è di male? E nella stragrande maggioranza dei casi è un’occasione di scambio, un’occasione per viaggiare, conoscere posti nuovi, condividere cibi e usanze. Condividere, sottolineo. Questo è un valore enorme, per lo sport. Guardi che le fratellanze atipiche, chiamiamole così, sono molto rare, sono una piccolissima minoranza».
E non c’è modo di anticipare certi incidenti?
«La soluzione di sicuro non è mettere un poliziotto a ogni incrocio, per dirla con il linguaggio del senso comune. La verità è che la sera di Inter-Napoli, mi creda, abbiamo evitato una strage grazie al tempestivo intervento degli agenti, abbiamo evitato che le cose peggiorassero in modo drastico grazie alla nostra organizzazione. Sarebbe stato troppo rischioso fermare la partita. Il 99,9% dei tifosi è gente perbene, che va allo stadio per godersi la partita con i figli, gli amici. E anche l’azienda calcio va tutelata perché dà lavoro a molte persone e appassiona milioni di persone. L’esasperazione del tifo è un fenomeno negativo ma si può combattere con le indagini e le sanzioni. Sanzioni serie ovviamente».
E veniamo al punto. L’intransigenza è il primo strumento?
«Sì, lo è. Ma non è l’intransigenza di Cardona. Questa linea è concertata con il Capo della Polizia, il prefetto Franco Gabrielli, con il capo della Procura della Repubblica di Milano, il dottor Francesco Greco, ed è la stessa dell’Arma dei Carabinieri. Parte da Milano e può coinvolgere tutta l’Italia. Intransigenza vuol dire applicare i decreti che ci sono, per esempio il n°119 del 22 agosto 2014 sulla chiusura dei settori ospiti. Siamo tutti impegnati in questa operazione. L’intransigenza istituzionale, dovuta e voluta. Mi permetta di aggiungere: è l’intransigenza della gente che pretende il rispetto delle leggi. A San Siro, lo ripeto, poteva succedere di tutto dopo quella partita; e poteva succedere dappertutto».
Ma lo sport fa la sua parte? C’è un modo perché le cose cambino anche dall’interno?
«Ma certo! Lo sport ha i mezzi per un primo contrasto. La giustizia sportiva può e deve fare la sua parte in maniera consistente. Le istituzioni sportive applichino le sanzioni, che in buona parte già esistono, e le applichino in maniera più severa. Chiudere un settore, applicare le “porte chiuse”, può essere doloroso ma può aiutare a contrastare i comportamenti violenti, per esempio le aggressioni agli arbitri in campo o negli spogliatoi, per restare a episodi recenti. Ma lo sport certo che deve fare la sua parte!».
Scusi, a proposito di sport. Da arbitro con il caso Koulibaly cosa avrebbe fatto in campo?
«Dalle informazioni che abbiamo, gli insulti ci sono stati al 10’ del primo tempo e poi al momento dell’espulsione. L’arbitro in campo e chi doveva gestire il caso sugli spalti ha fatto il proprio dovere, con messaggi ufficiali che hanno zittito gli ignobili insulti. Però Ancelotti e Koulibaly hanno ragione ad arrabbiarsi. Guardi, questa gente è folle, è folle fare buu. Per cosa, il colore della pelle? Questi folli non si rendono conto che giocatori di colore sono in tutte le squadre del mondo? Facendo buu a un avversario, non offendo forse anche un giocatore della mia squadra? Che follia...».
Lo Stato di Diritto è fondamento della civiltà moderna. È l’uovo di Colombo: conciliare i diritti di cittadino con l’intransigenza. Vietare le trasferte non è limitare i diritti di quel 99,9% di cittadini-tifosi (cittadino anche tifoso) che vogliono solo godersi una partita di pallone a uno, dieci o mille chilometri da casa?
«Ma lo Stato di Diritto è rispetto delle regole. È, anche, far rispettare le regole. Una sanzione, per quanto intransigente, non è coercizione in senso assoluto, è innanzitutto tutela dei diritti della maggioranza. Mi lasci spiegare: io credo sia opportuno chiudere i settori ospiti, come previsto dal decreto 119 del 2014 citato prima. Ognuno di noi sarà libero di andare in trasferta, però in tribuna o in altro settore, per esempio. Chiudere il settore ospiti è un deterrente per certe dinamiche potenzialmente violente. Di fronte alla morte di un uomo, sono sanzioni quasi banali. Ma è come se facessero accendere una lampadina nella testa di ognuno di noi. Anzi, mi aspetto che la tifoseria dell’Inter faccia mente locale su quanto accaduto. Mi aspetto maggiore attenzione. È morto un uomo, e non c’è alcuna ragione per una morte. Non nel calcio, né altrove».
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