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Intervistato da La Gazzetta dello Sport, l'ex attaccante dell'Inter e anche del Venezia Alvaro Recoba ha parlato della sfida di questa sera, ma anche di Inzaghi e del suo ex dirigente Marotta:
Gennaio 1999, arrivo in Laguna: che cosa ricorda?
«Eravamo quasi retrocessi. Rischiavamo tutti: io, l’allenatore Novellino, il presidente Zamparini, il d.g. Marotta, ma da lì è nata una cavalcata magnifica, un girone di ritorno incredibile. Pensate che fino a quel momento non avevo mai messo piede in città ed è stato bello scoprirla un po’ alla volta: mi allenavo e vivevo a Mestre, ma mi ritagliavo un pranzo settimanale a Venezia con mia moglie. Abitandoci, forse, non cogli la bellezza, arrivi quasi a pensare che sia tutto normale, ma Venezia non è normale. È pura magia».
In questa Inter c’è il dirigente che la scelse allora.
«Beppe Marotta era ed è una persona perbene. A Venezia vedevi già l’equilibrio, la capacità di trovare soluzioni, di unire club e giocatori: ai tempi avevamo un allenatore un po’ pazzo e un presidente un po’ pazzo, ma lui teneva in piedi tutto con un profilo basso. La cosa bella è che non è cambiato: a volte quando cresci di livello e potere, diventi un’altra persona e invece lui è lo stesso di 23 anni fa, umile e professionale. Anche se alla Juve ha vinto tutto e ora ha rimesso in piedi l’Inter. Ricordo che una volta “Zampa” mi disse: “Se segni puoi prendere quello che vuoi in negozio”. Io segnai e ritirai una tv gigantesca, la più grande del mondo. Quando Beppe la vide, disse: “Chino, così è troppo...”».
Adesso ha scelto Inzaghi per il dopo Conte: ci ha preso?
«Al di là dei risultati, ti accorgi subito che c’è una idea, una mano, un lavoro dietro. Può lottare ancora per lo scudetto e pure in Europa può fare strada. Anche perché, in generale, non è facile allenare una big e, in questo caso, poi è ancora più difficile essere all’altezza di chi l’ha preceduto».
Come ha vissuto l’estate turbolenta dei nerazzurri?
«Non ho seguito per due giorni il mercato e poi leggo su Internet che Lukaku è finito al Chelsea... E prima Hakimi al Paris Saint Germain! La società sarà stata obbligata a fare queste scelte, ma hanno subito reinventato bene la squadra. L’hanno resa ancora competitiva, a partire da Dzeko che sta dando la sua esperienza. Nel calcio, a volte, puoi pensare che qualcuno sia insostituibile, ma non lo è mai se c’è la squadra dietro».
Lautaro gioca nel suo ruolo: fin dove potrà spingersi?
«So solo che segna, quasi sempre, e questa dote non è da tutti. Inutile nascondersi, prima o poi arriverà una superbig mondiale con una superofferta. Ciò non significa che andrà via di certo, ma è una eventualità da tenere in considerazione. Io lo vorrei a Milano per dieci anni, ma non sarà facile tenerlo. L’unica cosa che può fare l’Inter al momento è coccolarlo, come si fa con i giocatori speciali».
La bandiera uruguagia a Milano ora ce l’ha Vecino, che non sembra troppo contento della panchina: lei cosa suggerirebbe?
«Io con Matias ho giocato in Uruguay: ormai è maturo, sa bene che all’Inter sei al top e quindi puoi finire pure in panchina. Non me lo immagino a restare in un posto solo per soldi: se avrà la possibilità di giocarsela rimarrà, altrimenti cercherà altrove, anche se è difficile crescere di livello».
Ha giocato pure con l’allenatore del Venezia, che ha un cognome a lei caro...
«Con Paolo Zanetti ero al Torino: anche se ho fatto male in campo, ho bei ricordi di lui e di tutta la gente granata. Con Javier, ovviamente, il rapporto è speciale: è stato il compagno più importante a Milano. Appena arrivato, senza conoscermi, mi ha accolto per tre mesi in casa sua: chi avrebbe mai fatto una cosa simile? Se oggi tornasse in campo, per me giocherebbe senza problemi in Serie A».
I mancini nerazzurri le piacciono? Si rivede in qualcuno?
«Bastoni, Kolarov e Dimarco calciano molto bene, ma è inutile fare paragoni. Dimarco non farà mai i miei gol, ma in area marca molto meglio lui di me...».
«Il Chino non è stato il migliore del mondo solo perché non lo ha voluto»: chi lo ha detto?
«La Bruja, Veron. Non so se abbia ragione. Potevo fare di più? Certamente. Ma potevo fare anche molto meno...».
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