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Continua a tenere banco la questione stadio per le due milanesi. Anche Repubblica, in un pezzo a firma di Piero Colaprico, si occupa della vicenda:
"I bene informati continuano a dire che "è fatta", che è una "pura formalità" e Milan e Inter, cane e gatto nei secoli, nei derby e nella serie B (Milan sì, Inter no), sarebbero d’accordo sui danée. E comunque, sostengono quelli che la sanno lunga, ci sono ragioni serie e fondate nell’abbattere lo stadio Giuseppe Meazza, e costruirne uno nuovo. A cominciare dai tempi e dai costi: per ristrutturare servirebbero circa quattro anni e, quindi, procedendo settore per settore, la capienza si ridurrebbe a circa 40mila spettatori. Troppo pochi per gli incassi della Coppa dei Campioni (scusate l’uso antico dell’italiano).
Costruire uno stadio nuovo è molto più dispendioso (certo, ovvio, ci mancherebbe), ma si può usare San Siro per due anni e nel frattempo, dove ci sono i parcheggi, può sorgere l’altro tempio. Non siamo ingegneri, né esperti di traffico, ma questa ipotesi di lavoro ci lascia perplessi. Anche perché diventa innegabile una sorta di scisma. Da un lato i "vecchi credenti", quelli che hanno visto Rummenigge e i fratelli Baresi, Mazzola e Rivera, Rocco ed Helenio Herrera, Mourinho e il triplete e Berlusconi che acchiappa tutto con Arrigo Sacchi. Dall’altra, il potere dei soldi, dell’immagine, del Facebook dei giocatori e delle loro mogli, degli agenti.
Come nella celebratissima Chovanšcina di Musorgskij, in scena in questi giorni alla Scala, il gran garbuglio, tra il sentimentale e il politico, può finire con la sconfitta dei "vecchi credenti". Ma anche no. Ripetiamo una domanda: ma chi, tra i politici e gli amministratori, oserà mettere la firma in calce all’ordine di abbattimento della Scala del calcio?"
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