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Rummenigge: “Inter, Marotta il migliore acquisto. Sono in debito con i tifosi nerazzurri. Brehme…”

Gianni Pampinella Redattore 
In una lunga intervista al Corriere della Sera, Karl-Heinz Rummenigge ripercorre la sua avventura con la maglia dell'Inter

In una lunga intervista al Corriere della Sera, Karl-Heinz Rummenigge ripercorre la sua avventura con la maglia dell'Inter. Inoltre l'ex giocatore commenta il campionato della squadra di Inzaghi culminato con la seconda stella. "L'accoglienza fu incredibile, sotto la pioggia. In serata dissi le mie prime parole in italiano: "Sono molto felice di essere qui". Era vero. Anche perché l'Inter non era la mia unica possibilità".

Chi c'era anche? 

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«La Fiorentina e la Juve. Ma io volevo l'Inter».

Perché? 

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«Volevo vincere con loro: da bambino, a 8 anni, oltre al Bayern mi appassionai anche alla Grande Inter di Mazzola, avevo il poster in camera. E proprio Sandro venne a cercarmi nel 1984, allora direttore sportivo: non avrei potuto dirgli di no».

Milano non l'ha mai considerata? 

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«Per due motivi. Il campo d'allenamento dell'Inter era a due passi dal lago. E mia moglie: decise lei».

E il suo debutto a San Siro come fu? 

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«La prima volta fuori dal tunnel mi venne subito la pelle d'oca, tutti gridavano "Kalle, Kalle", è stato amore fin da subito».

Con che compagni invece legò di più? 

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«Spillo Altobelli, dicevano che era strano e che fosse un competitor perché attaccante come me. E invece andammo subito d'accordo. Come in campo: era furbo e intelligente. Siamo amici tuttora».


Lei se ne andò dall'Inter e l'anno dopo sarebbe arrivata la "rivoluzione" di Sacchi e del Milan degli olandesi. 

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«Il mio rimpianto è che non sia arrivata prima, ne avrei beneficiato anch'io: avrei segnato più gol e sarebbe stato un calcio più spettacolare anche per i tifosi».

All'Inter ha aperto la strada ai tedeschi: Brehme, Mattheus, Klinsmann. 

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«Sì, con Brehme e Mattheus ho anche giocato con la nazionale. Contento che almeno loro abbiano vinto, a differenza mia».

E Brehme se ne è andato qualche settimana fa. 

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«Sono stato molto triste, non si può morire a 63 anni. Al funerale ho visto tanti compagni dell'Inter, Bergomi, Mandorlini, il presidente Pellegrini».

Anche Brehme ha fatto fatica fuori dal campo. 

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«Non è riuscito a trovare la felicità che riusciva ad avere quando giocava».

Come ha fatto lei a gestire il dopo calcio? 

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«A me ha aiutato molto proprio l'Italia, imparare un'altra lingua e un'altra cultura».

Da dirigente del Bayern, si è opposto alla Superlega, litigando con Agnelli. 

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«È vero, anche se il problema più grave è il dislivello tra la Premier e gli altri: con quegli incredibili ricavi televisivi, ci vorrebbe una miglior ridistribuzione. L'unica soluzione è l'introduzione di un tetto agli stipendi. O un fairplay finanziario autentico. Il problema, alla fine, sono sempre i soldi: nel 1984 si andava in Italia anche perché c'erano».

 

L'Inter la segue sempre oggi? 

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«Sì, ogni volta che posso. E sono molto contento della presenza del mio amico Beppe Marotta, penso sia il miglior acquisto fatto dall'Inter negli ultimi dieci anni».

Il suo calciatore preferito in quest'Inter? 

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«Lautaro Martinez».

Le assomiglia? 

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«Un po', perché gli piace partire da dietro, come a me».

La seconda stella l'effetto che fa? 

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«Sono molto contento, ma del resto l'Inter ha dominato in lungo e in largo questo campionato, come poche volte in passato».

Ma a lei dispiace non aver vinto invece niente con l'Inter? 

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«Molto, perché ero venuto per far contento il presidente e i tifosi, mi sento ancora in debito».

E dagli interisti come vorrebbe essere ricordato? 

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«Mi vogliono ancora molto bene. Di solito chi non vince niente non è amatissimo: si vede che l'amore che ho dato mi viene restituito...».

(Corriere della Sera)


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