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Scaloni: “Lautaro un esempio, presente anche quando non era al top. È fondamentale per noi”

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Intervistato da La Gazzetta dello Sport il ct dell'Argentina ha parlato della sua squadra pronta per il Mondiale e anche dell'attaccante dell'Inter

Andrea Della Sala

Intervistato da La Gazzetta dello Sport il ct dell'Argentina Scaloni ha parlato della sua squadra pronta per il Mondiale e anche dell'attaccante dell'Inter Lautaro Martinez:

La vostra ultima sconfitta, non perdete da 36 partite. L’Italia di Mancini è arrivata a 37.

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«Un numero, nulla di più. Non meritavamo di cadere col Brasile, potevamo perdere altre partite. Le statistiche sono lì per essere superate e per me non valgono nulla. Stiamo bene ma non siamo certo invincibili, e meno in un Mondiale. Apprezzo due cose: la prima, è difficile battere questa Argentina, la seconda, questa squadra ha fatto breccia nella gente. Si è creata una gran chimica tra calciatori, tifosi, tecnici e dirigenti e resterà, comunque vada il Mondiale».

E come andrà?

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«Difficile dirlo. È un Mondiale atipico, senza alcuna preparazione per me come per qualsiasi altro allenatore. Stiamo fronteggiando diversi problemi fisici e ci sono cose legate alla forma che non possiamo controllare. E poi c’è il Mondiale, che è una competizione molto traditrice, non sempre vince il migliore. Però sappiamo cosa vogliamo e come vogliamo giocare».

Come ha costruito questa Argentina? Partiamo dallo staff.

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«Pablo Aimar era con me quando allenavo l’Under 20, e giocavamo insieme già nel Mondiale della stessa categoria del 1996. Un tipo che vale oro, perché è rispettato da tutti e ha la parola giusta in ogni momento. Io sono impulsivo, lui offre grande tranquillità. Walter Samuel è l’amico di una vita: avremo avuto 9-10 anni, viveva nel “pueblo” vicino al mio, passava a prendermi e andavamo ad allenarci insieme al Newell’s. Un difensore tra i migliori al mondo e lo stesso modo d’intendere la vita che ho io: uno di gruppo. Il “Raton” Ayala è stato un gran leader, e quando le cose si complicano sa sempre come tranquillizzare il giocatore».

E la squadra?

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«Siamo partiti ad interim con l’idea di provare più gente possibile. Volevamo formare un gruppo nel quale poi inserire Messi, attorno al quale abbiamo costruito una squadra con giocatori che pareva difficile unire. De Paul oltre a giocare bene ha un gran fisico, tatticamente è intelligente e in Italia è migliorato molto, da ala è diventato un interno e ne abbiamo approfittato. Paredes ha avuto un’evoluzione tattica simile a quella di Pirlo, del quale ha la stessa tecnica: quando ha il campo davanti a lui fa diventare tutto facile, e ha il passaggio verticale che apprezziamo molto. Vogliamo gente col piede buono e uno o due che possano rompere le linee. Peccato aver perso Lo Celso, ma oltre a De Paul e Paredes ci sono Palacios, Enzo Fernandez, Guido Rodriguez e nella categoria dei giocatori “piccanti”, abbiamo Di Maria, Angel Correa o Julian Alvarez. Più Leo. Nell’eterno dibattito argentino tra “bilardisti” e “menottisti”, due allenatori che adoro, di fatto noi quando abbiamo la palla giochiamo molto bene e si può dire che siamo “menottisti” e quando non ce l’abbiamo ci trinceriamo e siamo “bilardisti”. Oggi il calcio non è solo una cosa, bisogna sapere che in un momento della partita il rivale avrà la palla e la cosa non deve generare alcuna ansietà, perché non si può controllare».

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Manca un nome, Lautaro...

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«È stato ed è fondamentale, è un ragazzo prezioso per noi. Ci ha dato tantissimo sia nell’aspetto calcistico, con i gol, che in quello umano. Da quando siamo arrivati sapevamo che sarebbe stato lui il nostro attaccante, col Kun che inizialmente l’avrebbe aiutato. Nell’Inter andava già molto bene ed eravamo certi che con la sua gioventù, la sua voglia e tutto il calcio che ha dentro per noi sarebbe stato fondamentale. Gli dobbiamo davvero tanto perché si è concesso con tutto se stesso a noi e alla causa: è venuto in nazionale anche quando non era nelle migliori condizioni, voleva venire, voleva esserci. Un esempio».

E Dybala? Sorpreso dal suo passaggio alla Roma?

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«Una scelta molto intelligente, perché Roma è una città spettacolare e perché pensavo potesse diventare un idolo. Ha trovato un allenatore capace di sfruttarlo al meglio, il cambio mi è piaciuto. Noi c.t. guardiamo come un giocatore s’inserisce in una squadra, e Paulo si è incastrato alla perfezione tanto nella Roma come nella particolarità di Roma. E poi come persona è spettacolare, nel gruppo è fondamentale e gli vogliamo un gran bene».

 

 

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