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SCONCERTI: “VIETATO FARE CONFUSIONE. JUVE NON ACCUSATA DI PARLARE COI DESIGNATORI, MA DI ILLECITO STRUTTURALE”

Mario Sconcerti, editorialista del Corriere della Sera, fa una precisazione in merito alle nuove intercettazioni relative a Calciopoli. Il fatto che altri dirigenti parlassero con i designatori, pratica che comunque il giornalista mostra di non...

Daniele Mari

Mario Sconcerti, editorialista del Corriere della Sera, fa una precisazione in merito alle nuove intercettazioni relative a Calciopoli. Il fatto che altri dirigenti parlassero con i designatori, pratica che comunque il giornalista mostra di non apprezzare, non modifica di una virgola l'impianto accusatorio per quanto riguarda la Juventus e i suoi dirigenti. L'accusa, infatti, non era di parlare con i designatori ma di cercare di influenzare le partite, un illecito strutturale più generale, "una serie di disonestà sportive sparse e avvolgenti". Come dire: non conta se chiami, conta quello che dici e quanto questo si riflette sul campo:

Le nuove intercettazioni mostrano che era vero quello che Bergamo e Pairetto, i due designatori arbitrali, hanno sempre sostenuto, che cioè parlavano con tutte le società, non solo con la Juventus. Questo è un fatto ora provato con dovizia di particolari. Ma non è questa la ragione per cui la Juve è stata condannata. La Juve fu ritenuta responsabile di una organizzazione attraverso la quale si cercava di influenzare le partite. Fu Saverio Borrelli, capo dell’Ufficio inchieste, a parlare di «illecito strutturale», cioè nessuna partita in particolare, ma una serie di disonestà sportive sparse e avvolgenti, tutte con il compito di orientare i risultati. È questa l’accusa che deve essere smontata. Che a parlare con i designatori fossero molti presidenti mostra che nessuno aveva l’eleganza di tacere e che si andava al galoppo verso un’aria di disonestà diffusa, ma siamo lontani dalla qualità e la vastità delle operazioni che hanno valso la condanna. Ci sono poi da ricordare alcuni punti fermi. Primo, è stato John Elkann, cioè la Juve, a prendere subito le distanze dai suoi dirigenti. Secondo, la sentenza cardine dei processi, quella della serie B con penalizzazione, fu praticamente richiesta dall’avvocato della Juve; ci fu cioè una specie di patteggiamento pubblico. Terzo, la Juve ha accettato per intero la giustizia sportiva rifiutando di rivolgersi al Tar. La Juve è stata cioè parte molto attiva nel formulare e accettare la propria condanna. La sentenza finale non è stato un capriccio ed è passata attraverso sei diversi organizzazioni sportive giudicanti, un’enormità. Essere condannati non significa aver commesso per forza la colpa. Nel calcio basta anzi un legittimo convincimento e il sospetto diventa una prova. Vediamo dunque se verranno fuori fatti nuovi. Questi di adesso vanno bene per spargere un disonore collettivo, ma non toccano l’argomento di fondo, cioè l’esistenza di un illecito strutturale. È brutto semmai che si prestino a riportare di attualità vecchi colloqui già discussi e chiariti tra personaggi diventati riferimenti importanti del nuovo calcio. Penso soprattutto a Collina. Non si può difendersi tutta la vita dalla stessa intercettazione, peraltro spiegata decine di volte. Detto questo, assegnare a un’altra squadra lo scudetto tolto alla Juve, è stato un azzardo. Allora faceva parte del prezzo complessivo. La Juve rischiava la serie C, si scelse qualcosa di esemplarema che si esaurisse in un anno. Si colpì più il passato del futuro. Ma il problema del passato è che resta. Quella degli scudetti è diventata così la vera condanna. Bisognava capire che la retrocessione significava la perdita di molti giocatori, di molte strutture, cioè un obbligo di rifondazione, non una semplice congiuntura. La Juve è ancora adesso in mezzo alle conseguenze di quel trauma. Uno scudetto non assegnato poteva bastare. Ma queste sono opinioni, cioè cose che nel calcio non esistono. Nel calcio esistono solo le verità assolute di ciascun tifoso e hanno tutte il colore della propria squadra. Non esisterà mai una verità condivisa. A questo dobbiamo rassegnarci, qualunque siano o saranno le prove del processo di Napoli.