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Gli attaccanti esterni stanno fagocitando ormai le punte vere e proprie?
«Molti preferiscono giocare più larghi per toccare di più il pallone ed essere ancor di più dentro la partita. Ci vorrebbe più coraggio perché i numeri nove spesso devono sottostare a marcature più feroci e hanno anche più uomini addosso. Sarei curioso di veder giocare i vari Leao, Vinicius e Bellingham da attaccanti in mezzo all’area avversaria».
La carta d’identità sta dalla parte di Haaland e Lautaro.
«Sono entrambi giovani però hanno già la maturità per essere leader. Anzi, nell’Inter l’argentino è un vero e proprio trascinatore con la fascia di capitano al braccio. Questo ha cambiato il suo atteggiamento e l’autorevolezza nei gesti non solo dal punto di vista sportivo».
Dopo tutti questi gol fin dove può spingersi ancora Haaland?
«Sarei curioso di vederlo in una squadra diversa dal City, visto che lui è capace anche di giocare in campo aperto con 30 o 40 metri davanti. Invece Guardiola a Manchester fa giocare i suoi con una ragnatela di passaggi, il pallone viene portato in area e poi ci pensa il norvegese. Per me Haaland potrebbe fare anche di più, di certo è il prototipo del centravanti ideale, legato al passato per la fisicità, ma completo in tutte le altre caratteristiche».
Questi grandi attaccanti faticherebbero di più in Serie A?
«Qualche anno fa forse sì. Adesso il nostro campionato non è soltanto difesa, c’è un gioco più propositivo anche da parte delle squadre di rango minore, che salgono con più uomini e regalano spazi. In questo ci stiamo adeguando ai canoni europei».
L’Italia di Spalletti può trovare nel breve termine il centravanti del futuro?
«Molto dipende dalle scelte degli allenatori e delle società. Bisogna puntare di più sui nostri giocatori. Serve pazienza per aspettarli, le critiche sono spesso impietose e servono spalle forti per fare strada».
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