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Ha capito il perché?
—«Ci sono state tante diverse difficoltà e superarle tutte con disinvoltura non era facile. Alcune in campo, dove abbiamo affrontato squadre forti come Inghilterra e Ucraina. Alcune fuori dal campo: in tre raduni per due volte sono venuti a prenderci giocatori dentro il ritiro».
Un messaggio piuttosto chiaro...
—«Io ho bisogno di far venire fuori una Nazionale forte, non mi accontento di nulla. Voglio vincere l’Europeo e poi voglio vincere il Mondiale. Poi possiamo uscire anche subito, ma i discorsi che faccio alla squadra sono quelli che si aspettano tutti gli italiani: noi si va in Germania per vincere, non per partecipare. Lo richiede la nostra storia. Per riuscirci ho bisogno che questi calciatori diventino meglio di quello che sono. Non ho il tempo di esercitarli: serve qualcosa che gli entri dentro e gli accenda un fuoco, gli faccia sgranare gli occhi, gli dia la convinzione di potercela fare».
Il famoso gap con le grandi d’Europa?
—«Lo so che Inghilterra, Francia, Spagna e Germania sono forti, ma noi possiamo essere alla loro altezza. Però non si vince con calciatori che giocano bene solo per 20’ ma con quelli che fanno tante cose per 90’. E che sono dentro la partita anche se entrano dalla panchina o se sono in tribuna. Le energie mentali non vanno sprecate per gestire chi mette il muso. Perché sono energie tolte alla preparazione delle partite e noi non possiamo permettercelo. Per questo dobbiamo scegliere ragazzi propositivi, affidabili, con entusiasmo. Chi non ha queste caratteristiche può stare a casa, non ci serve. Voglio un gruppo sano e lasciare un’orma in questi tre anni, poi posso anche smettere».
Mi sta dicendo che dopo la Nazionale finirà di allenare?
—«Magari cambierò ruolo, perché avrò difficoltà dopo l’Italia a fare ancora l’allenatore».
Dalla Nazionale alle Coppe: come giudica il percorso delle italiane?
—«Ottimo. Abbiamo tecnici di primo livello, giocatori importanti e si avverte l’esperienza della scorsa stagione quando siamo arrivati in finale in tutte le competizioni. Possiamo ripeterci quest’anno».
L’Inter può vincere la Champions?
—«Sì, perché ha tutto: gioco, equilibrio, compattezza, maturità, unità di intenti. Tutti si aiutano, non vedi atteggiamenti sbagliati, gesti di stizza dopo un cambio o un errore. Sono una squadra. Si allenano bene e in mezzo al campo sono fortissimi».
Le dispiace il poco minutaggio di Frattesi?
—«Sì, ma lo avrò più fresco agli Europei. Lui è uno che riempie sempre bene la scatola della partita».
Il calcio italiano è cresciuto ma il campionato da due stagioni, con il suo Napoli e l’Inter, non ha storia: un’anomalia?
—«Più che di anomalia, parlerei di un minimo comun denominatore tra le due squadre: l’unione assoluta tra i giocatori. Tutti partecipano alla gioia comune e individuale. Alle avversarie che potevano lottare con l’Inter forse sono accadute le cose che non voglio vedere in Nazionale: calciatori che tengono alta l'attenzione per 20’ anziché 90’ e non si relazionano col gruppo».
La sorpresa del campionato?
—«Nel Bologna rivedo molte cose del mio Napoli, gioca un calcio europeo. Sovraccarico intorno alla palla e scambio continuo di posizioni mantenendo un equilibrio di squadra. L’Atalanta non è più una sorpresa: ha completato il suo percorso, è una squadra matura, solida. E poi ha Koopmeiners».
Una squadra che le piace sempre guardare?
—«Il Milan. Probabilmente tra le grandi è la più camaleontica e le sue partite sono sempre diverse. Sanno fare un po’ tutto, Pioli riesce sempre a mandare in campo una squadra competitiva ad alti livelli, valorizzando le qualità dell’intera rosa».
De Rossi ha detto: sono un figlio di Spalletti…
—«È stato molto carino e lo ringrazio. L’impressione che mi trasmette in panchina è che oltre ad essere l’allenatore, ha mantenuto vivo il carisma del capitano che è stato, del leader che si spende per la squadra. Questo i suoi calciatori lo percepiscono e glielo stanno restituendo sul campo. In più ha portato alla Roma un cambio di mentalità e di gioco. Non era facile in così poco tempo».
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