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Lunghissima ed altrettanto interessante intervista rilasciata da Andrea Stramaccioni ai microfoni di TuttoSport. Ve ne riportiamo alcuni stralci. Primo legato al passaggio clamoroso dalla Primavera Inter alla prima squadra: "La mattina dopo aver vinto con l’Ajax, tra l’altro nello stadio dove sette mesi prima il Tottenham ci aveva rifilato quei sette gol, accendo il telefono e vedo che ho ricevuto duemila telefonate da Piero che mi dice «Andre, il presidente questa mattina ha delle strane idee ma, qualsiasi cosa ti dice, tu rifiuta. Premetto che Ausilio lo diceva perché mi voleva bene: l’Inter era una polveriera, aveva bruciato allenatori straordinari come Benitez, Gasperini e Ranieri, e lui avrebbe voluto che seguissi un altro percorso partendo dalla Serie B. Io gli risposi che non ero stupido, sapevo che parlava così perché mi voleva bene ma io, un ragazzo di poco più di trent’anni che veniva dal nulla, come potevo rifiutare l’Inter?
Mi sarei sputato in faccia per tutta la vita. Non fa parte del mio carattere, io non sono un vigliacco e ho sempre lavorato per arrivare a giocarmi un’occasione così. Quando arrivò la convocazione all’incontro, stavo andando a ritirare un premio con Samaden. Mi chiamò Ausilio e disse “Non dirlo neanche a Roberto, inventati una scusa e vieni qui”. E mi diede l’indirizzo dove dovevo presentarmi. Io, da consumato attore, iniziai la recita: “Guarda Robè, è successa un’emergenza, devo andare”, così scesi dalla macchina e presi un taxi al volo. Mezz’oretta dopo, ho richiamato Ausilio per chiedere spiegazioni. E lui, che probabilmente stava in viva voce, con tono totalmente cambiato disse “Mannò André, siamo qui col presidente, va tutto alla grande, ci facciamo una chiacchierata, sii te stesso perché sei forte, sei grande”.
Indimenticabile quell'incontro con Moratti: "Dopo tre minuti di convenevoli, Moratti cambia tono, si tira giù gli occhiali. Mi guarda, prende un blocco di fogli bianchi, una penna e pronuncia una frase che ricorderò sempre: “Allora mister, lei come la farebbe giocare questa Inter?”. E mi dà blocco e penna. E io ho detto quello che pensavo: che alla squadra, con l’infortunio di Sneijder, mancava di un vero playmaker a centrocampo e quello poteva esserlo Stankovic. Poi dico che Chivu non poteva restare ancora ai margini e che Milito non poteva essere messo in ballottaggio con Pazzini. Dopo cinquanta minuti, la sentenza: “Sa che le dico, non me ne frega niente di quello che penseranno, ma lei è il nuovo allenatore dell’Inter”. Bam. Sono casco dalla sedia. Era successo l’impensabile".
A caratterizzare quell'avventura anche il rapporto con Antonio Cassano: "Quando l’Inter ha iniziato ad avere problemi legati alle voci di cessione da parte di Moratti, molti delle parti della struttura hanno cominciato a vacillare perché il legame con il presidente era quasi patriarcale. E probabilmente Antonio, nella seconda parte della stagione, si è visto meno al centro del progetto. Lì sono iniziati piccoli problemi: lui voleva un preparatore personale ma gli si spiegò che all’Inter, a differenza che in altre squadre, non l’aveva nessuno.
Alla fine è successo quello che tutti sapete. Tornassi indietro, l’avrei dovuto capire di più. Non voglio usare la parola proteggere. Però, in quei momenti, uno come Antonio va capito. Invece io presi di petto alcune situazioni, contando sul fatto che tra noi ci fosse un rapporto. Però la situazione, paradossalmente è degenerata di più rispetto a quanto sarebbe accaduto se fosse stato un giocatore normale. Questo perché io, per quello che avevo fatto per lui, mi aspettavo di più; e lo stesso valeva per lui con me. Oggi non lo rifarei e non ho problemi a dire, come dissi a caldo al presidente, che - seppure il giocatore avesse passato i limiti - io avevo sbagliato. Quello è stato uno degli errori della mia giovane carriera".
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