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Per Marca da oggi è una 'Leyenda', una vera e propria leggenda nella storia del calcio spagnolo. Luis Suarez (ex Barça e Inter) è l’unico calciatore della Spagna ad aver mai ricevuto in dote il Pallone d’Oro. Per questo, ad 81 anni, il noto quotidiano lo ha premiato ed intervistato: "Mi fa una grande impressione questo riconoscimento. Sapevo dell’esistenza del premio, ma non potevo immaginare la serie di sportivi che lo hanno conseguito. Parliamo di numeri 1 nelle loro rispettivi specialità. E’ un livello straordinario".
Com’ero io da calciatore?
"Avevo una tecnica individuale e una visione di gioco molto buone. Avevo un lancio molto profondo e preciso. Ed è all’Inter che l’ho fatto vedere di più: avevamo una squadra molto forte in contropiede, in cui io riuscivo a capire le situazioni di gioco e a trovare il compagno smarcato. Gli altri avevano fiducia in me, sapevano che avrei messo il pallone dove volevo".
Da centrocampista a ‘tuttocampista’?
"Sì, all’inizio ero più statico. Me lo chiedeva il mio allenatore e io ubbidivo, non al 100 % ma al 1000 per 1000. Poi, con gli anni, mi sono reso conto che agli allenatori bisogna disubbidire la maggior parte delle volte perché le cose vadano al meglio. E ve lo dice un selezionatore, per cui un allenatore. Se non risolvi i tuoi problemi in campo, a fine partita poi è già tardi. Nel Barça mi scontravo con il pubblico perché non mi muovevo, ma la colpa non era mia. Era del mio allenatore. Dopo, nell’Inter, mi diedero più libertà e cominciai a giocare in ogni zona. Dico sempre che oggi, nel calcio, ci sono troppi giocatori che prima vedono la partita e poi la giocano. Io la vedevo e la giocavo nello stesso tempo. Bisogna pensare prima che ti arrivi il pallone, devi sapere cosa fare quando arriva. Questo fa un giocatore. Sembra un disastro, ma non lo è. E’ molto facile. Il difficile è realizzarlo".
Potrei giocare oggi in un grande club?
"Non ho alcun dubbio. Non lo dico per presunzione. Sono convinto. Potrei giocare in qualsiasi squadra del mondo. Come diceva Di Stefano, noi dell’anteguerra e del dopoguerra avevamo il problema di essere poco visti in televisione. Non si poteva vedere quello che facevamo, e io personalmente facevo cose che ora non vedo più fare, perché non sono così semplici".
Pallone d’Oro nel 1960?
"Sì, più piccolo rispetto a quello che ha appena vinto Cristiano. Il mio era più piccolo e l’ho ceduto al Museo del Barça, il club con l’ho vinto appena prima di andare all’Inter. Meglio che molti tifosi lo possano visitare nel Museo, piuttosto che tenerlo io in una vetrina della mia casa assieme agli altri trofei".
Quando tornerà a vincerlo uno spagnolo?
"Il problema è che il momento buono è già passato, quando abbiamo vinto il Mondiale e l’Europeo. Lì doveva esserci qualche spagnolo. Xavi, Iniesta, Casillas… Se non lo abbiamo vinto in questi anni, sembra difficile trovare un altro momento buono. Ora stiamo vivendo una partita di tennis: Cristiano, Messi, Cristiano, Messi…"
Vero che meritava almeno due Palloni d’Oro?
"Anche tre. Uno nel ’64: tutti dicono che i titoli vinti influiscano nella votazione finale. Figuratevi, io quell’anno vinsi l’Europeo con la Nazionale, e con l’Inter Scudetto, Champions e Intercontinentale. Non si poteva vincere di più. Lo scozzese Law vinse solo il campionato con il Manchester United… e io arrivai secondo. Ma comunque ero giovane e non gli ho dato tanta importanza. Al Pallone d’Oro si è dato maggiore rilevanza con il passare del tempo. Nel mio caso ogni anno vengo tirato in causa perché non vince nessuno spagnolo e continuo ad essere l’unico. Se non fosse per questo, si parlerebbe meno di me".
Messi e Ronaldo?
"Messi è più spettacolare. Fa cose meravigliose. Il gioco di Cristiano è più diretto alla ricerca del gol. Ronaldo sembra costruito per fare gol. Leo è nato per fare cose che nemmeno lui sa, talmente tanto difficili sono. Dove è più cresciuto è nel segnare. Potrebbero giocare perfettamente assieme. Cristiano è nato attaccante centrale e si è trasformato in esterno allo United".
E’ vero che il fatto che l’Inter non abbia preso Cristiano Ronaldo quando è andato a casa sua sia rimasta una delle più grandi delusioni che si è portato dietro?
"Sì, devo riconoscere che è così. Ero con sua madre, con sua sorella e con il suo agente, che a quel tempo non era Jorge Mendes. Siamo arrivati a parlare anche di soldi. Però non aveva ancora debuttato in prima squadra allo Sporting Lisbona. Io lo vidi in un’amichevole a Vigo, in cui fece un gol come quello di Ronaldo al Compostela. Mi sono pentito per tutta la vita di non essere stato più aggressivo nel raccomandare il suo acquisto. Ero abituato al fatto che l’Inter mi ignorasse quando raccomandavo loro un giocatore. Questa volta glielo dissi più di quattro volte, ma niente. Mi mancò più veemenza. Ad un certo punto pensai di dirlo ad altri club per vedere la loro reazione. Era un peccato. Si vedeva quello che sarebbe stato, quello che è stato. Hanno aspettato e aspettato, e quando se ne resero conto lo portò via lo United, che aveva ottenuto un accordo con lo Sporting".
(Marca)
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