LEGGI ANCHE
Il problema è stato sottovalutato. L'impatto è talmente grande che qualche ragazzo decide di smettere: la bravura e la sensibilità del club è quella di costruire un ambiente a misura di ragazzo, che possa supportare anche la carenza affettiva. Noi cerchiamo di coinvolgere anche le famiglie: l'Inter è un'esperienza di vita, prima di pensare che un ragazzo diventi calciatore. l'Inter offre la possibilità di socializzare, di viaggiare, di entrare un una palestra di vita. Non per forza un ragazzo che arriva all'Inter deve diventare un calciatore, se non lo diventa non ha fallito un percorso. Diventa un'esperienza di vita importante".
"Futuro? La visione è quella di continuare tutto quello di positivo che è stato fatto: l'Inter ha una grandissima tradizione a livello di settore giovanile, sia in Italia che in Europa. Come tutti gli ex sportivi siamo competitivi, e vogliamo provare ad alzare l'asticella, diventare tra i top club europei nella formazione dei giocatori, vederne sempre di più all'interno del sistema dei professionisti non solo in Italia ma anche all'estero. Su una rosa di 25 hai un imbuto che esiste già, qualcuno finisce in Lega Pro, per poi cominciare a salire in Serie B e altri, la punta dell'iceberg, in Serie A. Poi ognuno ha dei tempi di maturazione differente, magari alcuni li rivedi in alto dopo qualche anno. È una selezione abbastanza agguerrita.
Il mio salto in Prima Squadra? Io sono stato un po' fortunato e precoce, ho avuto un percorso atipico. Fino al sedicesimo anno giocavo per strada, nella squadra del quartiere. Alla prima stagione in cui mi acquistò il Catania per giocare con la Primavera già giocavo sotto età di 3 anni: lì ho iniziato ad allenarmi con la Prima Squadra e ho fatto l'esordio in Serie C a 16 anni. Il settore giovanile non l'ho quasi fatto, allenarmi subito in Prima Squadra è stato difficile ma importante dal punto di vista formativo. A 17 anni ho giocato da titolare in Serie C1, e mi ha permesso di andare a Napoli a giocare in Serie A a 18 anni. La pressione si sente, ma per me è stato sicuramente molto formativo. Il passaggio da un settore giovanile a una Prima Squadra è grande, manca un pezzo abbastanza importante. Arrivando su ti accorgi che non è per tutti giocare a certi livelli".
"Il caso scommesse tra i giovani? L'Inter è molto attenta a questi temi per quanto riguarda il settore giovanile, ci sono progetti di sensibilizzazione su tanti temi, non solo questo. C'è molta attenzione, ci sono iniziative e percorso formativi. L'Inter lo fa anche all'interno delle proprie strutture: l'obiettivo è quello di sensibilizzare i ragazzi per evitare di cadere in questi errori. Il rapporto con Marotta, Ausilio e Baccin? Stupendo. Io sono appena arrivato, mi ritrovo in una struttura che esiste e funziona da anni. Ho grandissimo supporto da parte di Marotta, è molto disponibile, è sempre stato il mio punto di riferimento, mi può aiutare a 360 gradi, e lo stesso vale con Piero e Dario, due persone stupende con cui ho il piacere di lavorare dopo tanti anno di conoscenza. La bellezza di lavorare con l'Inter, oltre al fascino che ha, è quella di lavorare con persone stupende.
Continuità tecnica e di modulo con la Prima Squadra? Abbiamo iniziato un processo di lavoro nuovo, stiamo cercando di uniformare tutte le metodologie di lavoro per fare in modo che tutte le squadre, dall'U9 all'U19, possano avere un metodo unico e continuativo. Differente è la Prima Squadra, che ha un percorso diverso. Stiamo cercando di lavorare in maniera verticale, dando possibilità ai ragazzi di fare esperienza. Stesso modulo? Con l'Inter il primo step è stato quello di uniformare i principi di gioco, stiamo lavorando con tutte le squadre per dare qualità. Il calcio si è evoluto, l'occupazione del campo parte con un modulo ma poi si lavora sugli spazi e non sulla staticità di un ruolo".
"Chivu? È un allenatore molto esigente. Non l'ho vissuto come compagno di squadra, quindi non so come fosse da calciatore. Cura ogni dettaglio, ma allo stesso tempo ha anche molta sensibilità. A volte può sembrare duro, ma è un duro "positivo". È molto intelligente, ha grande cultura, ha avuto la possibilità di fare grandi esperienze a livello internazionale e questo l'ha arrichhito. È una buona guida per i nostri ragazzi, li aiuta ad entrare nel mondo dei grandi. La sua esperienza in club come l'Ajax a livello giovanile ti dà l'accesso a un mondo che non conosciamo e che lui ha vissuto. La sua dote più importante è che ha una grande apertura mentale: non si è chiuso come invece fanno altri ex calciatori.
Cosa provano i ragazzi più piccoli quando vedono le foto di Dimarco, partito dal settore giovanile e oggi protagonista in Prima Squadra? Nei ragazzi c'è l'incoscienza di un bimbo che rincorre un sogno. In questo momento capire per loro come Dimarco è arrivato in alto sarebbe impossibile, ma sapere che c'è una strada per poter arrivare penso che sia il sogno che ogni bambino cerca di percorrere all'interno di questa attività: è un bell'esempio che ci piacerebbe poter replicare con maggior frequenza. Sarebbe una bella testimonianza, fermo restando che è già venuto diverse volte a Interello. Vedere un giocatore della Prima Squadra dà appartenenza".
"Un consiglio che do spesso ai ragazzi? Quello di stimolare un ragazzo a sfidare se stessi. Ci si tende spesso a comparare con gli altri per capire a che punto sei, e invece ognuno di noi ha un percorso diverso. Il mio consiglio è quello di sfidare sempre se stessi per provare a essere sempre migliori rispetto al giorno prima: alla fine di questo percorso, se questo cammino avviene, fai molti passi avanti. Cosa mi chiedono i ragazzi? Uno non deve chiedere "perchè non gioco", sbagli domanda: quello dipende dall'allenatore. Consiglio di chiedere che cosa uno può fare per migliorare: se non sta giocando vuol dire che l'allenatore nota delle lacune. Chiedere a un allenatore "perchè non gioco?" a volte può essere rischioso: bisognerebbe porsi in maniera più costruttiva, è diverso chiedere "cosa posso fare per migliorare?". Sono ragazzi, vanno indirizzati.
La cosa che accomuna tutti i campioni con cui ho giocato è l'umiltà: più erano grandi, più erano disponibili sotto l'aspetto umano e tecnico. Un aneddoto? L'attenzione che aveva Maradona nei confronti dei compagni. Ero appena arrivato a Napoli, avevo 18 anni, e insieme a Zola ci chiamavano "bimbi". Alla proposta del presidente di divederci in due i premi vittoria si alzò, se ne andò e disse: "No, i soldi li prendiamo tutti uguali". Questo fa capire quanto era grande".
Se vuoi approfondire tutte le tematiche sul mondo Inter senza perdere alcun aggiornamento, rimani collegato con FC Inter 1908 per scoprire tutte le news di giornata sui nerazzurri in campionato e in Europa.
© RIPRODUZIONE RISERVATA