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Volpi: “Amo l’Inter, da Moratti a Marotta grandissime stagioni. Che stress curare Ronaldo”

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Il medico dell'Inter, intervistato da La Gazzetta dello Sport, ha parlato della sua esperienza da calciatore e del suo lavoro col club nerazzurro

Il medico dell'Inter Piero Volpo, intervistato da La Gazzetta dello Sport, ha parlato della sua esperienza da calciatore e del suo lavoro col club nerazzurro

La prima vera squadra?

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«La svolta nella Primavera del Varese. Un bellissimo gruppo. L’ideale del mio giocatore era il grandissimo Luis Suarez. Ci allenava Pietro Maroso, mi ha spostato da centrocampo in difesa. Era il 1971, in sei siamo poi andati in A: io, Gentile, Calloni, Massimelli, Della Corna e Penzo. E nei ragazzini, molto più giovani di noi, c’era uno pieno di riccioli, Beppe Marotta. Respiravamo l’aria di un buon calcio, il Varese era allenato da Nils Liedholm e in prima squadra, in attacco, c’era Braida».


Poi, ha raccontato spesso, tutta la trafila. È stato difficile?

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«Ma no. Anzi, un percorso divertente. Interregionale e D nell’Ignis Varese, poi Caserta in prestito in C, tre anni di Lecco e Ternana in B. Nel ‘73-74 a Caserta, in prestito per un anno, ho conosciuto Enzo Bearzot, tecnico della Lega Semiprofessionisti di C. Siamo andati a Pyongyang, in Corea del Nord. Indimenticabile, allo Stadio Nazionale contro l’Armata c’erano ottantamila persone. Col Como di Pippo Marchioro, anche lui di Affori, abbiamo vinto il campionato di B e io ho esordito in A. Stagione 1980-81, ci siamo salvati all’ultima giornata. Poi la Reggiana e la chiusura al Novara in C2. Quando ho smesso, ero già medico specializzato. I miei compagni mi chiamavano “el dutur”».

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Hanno scritto che Piero Volpi è un alieno: metà calciatore, metà medico. Il calciatore adora Suarez, un gigante dell’Inter. Il medico anni dopo ritroverà Suarez all’Inter…

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«Luis era un mito, un calciatore, un uomo meraviglioso. Ho amato la sua Inter, amo le mie Inter. Sotto il camice batte un grande cuore nerazzurro. Ho lavorato qui, ho rifatto altri percorsi, sono ritornato».

Da Moratti a Marotta. Che stagioni sono state? E sono?

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«Bellissime. Dirigenti straordinari, enorme spessore umano e professionale. Ho la fortuna di lavorare in un grande staff medico, il nostro lavoro è apprezzato e i risultati si sono visti. Siamo attrezzati per fare cose importanti, gestire tutte le situazioni».

Ha gestito anche il caso del Fenomeno Ronaldo. Come ha vissuto quel calvario?

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«Abbiamo sofferto tutti per quel ginocchio. Curare Ronaldo è stato molto pesante, stressante: la tendinopatia ha portato a due operazioni. Avevamo il migliore del mondo fermo per quasi un anno e mezzo, molta ansia per tutti. Ma lui era un fenomeno».

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Lo era, nel suo piccolo, anche Recoba. Dicono adesso: poteva diventare un Messi. Perché si è perso?

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«Alvaro aveva una struttura eccezionale che pochi conoscono. Aveva doti aerobiche incredibili. E anche fantastiche tecniche, ma era pigro...».

Oggi si corre. Anche troppo. Lei è il “papà” delle cinque sostituzioni…

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«Mah, papà… Diciamo che lo avevo proposto diversi anni fa anche a Platini, all’Uefa, e sono state introdotte più tardi, solo quando è scoppiata la pandemia. Le sostituzioni sono indispensabili, le hanno adottate tutti, o quasi. Si è in campo senza sosta, e questo non aiuta ad abbassare il numero degli infortuni. Giocano un po’ tutti e ci si fa male di meno».

 

 

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