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«Da sempre. Mi portò allo stadio mio padre da bambino, da allora l’Inter è la mia malattia, ed è inguaribile. Seguo tutto, le ho vissute tutte, e certe ferite me le porto dentro: il 5 maggio, il rigore su Ronaldo del ’98… Sì, con mentalità un po’ fortitudina. Adesso che si vince, lasciateci godere almeno un po’».
Da collega allenatore: Thiago Motta?
«Prima ne parlo da tifoso: lui per me sarà sempre uno degli eroi del triplete. C’ero anch’io, quella notte al Bernabeu nel 2010: indimenticabile. Lo seguo dai tempi dello Spezia, da allenatore mi colpisce la capacità di imporre le sue idee, anche in situazioni di pressione estrema. E la sua squadra, lo vedono tutti, stramerita la Champions».
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