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Rummenigge: “Superlega? L’Europa ha detto no. Agnelli non mi ha più risposto…”

Intervistato da La Gazzetta dello Sport, l'ex giocatore dell'Inter e del Bayern Rummenigge ha parlato del progetto Superlega

Intervistato da La Gazzetta dello Sport, l'ex giocatore dell'Inter e del Bayern Rummenigge ha parlato del progetto Superlega ormai rifiutato da quasi tutti i club europei.

«È nei fatti, nel rifiuto dell’Europa al progetto. Manca soltanto la conferma legale». Domani la Corte Ue deciderà sul caso Superlega. L’ultima parola. Lo spartiacque del calcio del futuro.

Preoccupato, signor Rummenigge?

—  

«Ora no. Lo ero la notte in cui hanno annunciato la Superlega. Erano dodici, avevano cercato di convincere invano noi e altri, erano alla rottura. Ho pensato: “E se fanno davvero la rivoluzione? Sarebbe il caos”. In due giorni la bolla è scoppiata. Ero allo stadio per il Bayern e Ceferin ogni cinque minuti mi mandava sms per dire: s’è ritirato il Chelsea, il Liverpool, il City… Era finita».

Cosa significa Superlega?

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«La parola dice tutto. C’è “super” dentro: vuole essere superiore a tutto. Ai campionati, alla Champions, al calcio. Che idea…».


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«Q uando abbiamo perso con l’Italia nell’82, Littbarski piangeva come un bambino. Non riusciva a fermarsi. L’ho abbracciato e gli ho detto: “Litti, ti dico una verità del calcio: se hai perso contro chi è più forte, devi accettarlo e non rimproverarti niente”». Kalle Rummenigge è sempre stato un gentiluomo di sport. Non s’è mai nascosto dietro una polemica o un alibi, ma sicuramente non pensava, quarant’anni dopo il Bernabeu, di dover fare lo stesso discorso in giacca e cravatta, dietro a una scrivania, ai dirigenti della Superlega andati a Nyon per spiegare il loro progetto. Kalle gli aveva detto subito: «Ho giocato a calcio e so quando si perde. Voi avete perso e dovete riconoscerlo». Per il simbolo del Bayern — e dell’Inter — la sconfitta di Florentino e Agnelli è conclamata: «È nei fatti, nel rifiuto dell’Europa al progetto. Manca soltanto la conferma legale». Domani la Corte Ue deciderà sul caso Superlega. L’ultima parola. Lo spartiacque del calcio del futuro. Preoccupato, signor Rummenigge? «Ora no. Lo ero la notte in cui hanno annunciato la Superlega. Erano dodici, avevano cercato di convincere invano noi e altri, erano alla rottura. Ho pensato: “E se fanno davvero la rivoluzione? Sarebbe il caos”. In due giorni la bolla è scoppiata. Ero allo stadio per il Bayern e Ceferin ogni cinque minuti mi mandava sms per dire: s’è ritirato il Chelsea, il Liverpool, il City… Era finita». Cosa significa Superlega? «La parola dice tutto. C’è “super” dentro: vuole essere superiore a tutto. Ai campionati, alla Champions, al calcio. Che idea…». Avevano bussato anche al Bayern. «Sì, ma non sono venuti da me. Hanno provato con Oliver Kahn, il mio successore designato all’epoca. Io, Uli Hoeness e il presidente Hainer abbiamo detto: “Mai con noi! Vogliamo vincere, ma regolarmente”. Anche il Psg la pensava così». Sorpreso da Agnelli? «Non sono più riuscito a parlare con Andrea dalla domenica in cui ha staccato il cellulare. Giravano voci, non veniva a Montreux e non rispondeva. Credo non abbia avuto il coraggio di dire cosa stava facendo. Capisco che il coronavirus abbia forzato i club ad accelerare, qualcuno voleva soldi freschi, ma quella presentazione non è stata professionale. Lui non lo capisco e mi spiace umanamente. Era presidente Eca, era nell’Esecutivo Uefa, era presidente di una Juve tra i cinque top club. Ha perso tutto. Anche l’immagine. Andavamo d’accordo, ma, quando gli dicevo che il calcio non è solo economia, non la pensava come me». Sarebbe la fine dei campionati? «La fine di quelli che conosciamo. Quand’ero all’Inter non c’era partita paragonabile al derby. Lo stesso al Bayern: niente come il Dortmund e ora il Leverkusen. I campionati esistono da una vita, da più vite. Sono le radici del calcio. Blatter mi aveva regalato un albero dicendo: “Kalle, guarda, le radici sono i campionati e le Leghe. Nel ramo più basso le coppe europee, dove vai se ti qualifichi. Poi le nazionali che giocano Mondiali ed Europei. Più in alto Uefa, in Europa, e Fifa”. La Uefa sta facendo il meglio per difendere il calcio nell’interesse di tutti. Con un Esecutivo stabile e un presidente coraggioso come Ceferin. Sa cosa succederebbe se…?». Se la Superlega esistesse? «La Serie A diventerebbe la Serie B e la Bundesliga la seconda divisione. Tornei poveri. E tutto questo sa perché? Per danneggiare la Premier che incassa di più semplicemente perché è più brava. Soprattutto le spagnole: volevano danneggiarla e si sono inventate questo torneo, l’unico che conterebbe. Addio Juve-Cagliari, addio Bayern-Bielefeld». La Superlega vuole un torneo con le solite note. «Sì, ma il piano A, con le top d’Europa, era solo un alibi: il loro obiettivo è inserire arabe, americane, fare un torneo internazionale. Perdere le radici». Tante proposte senza mai essere chiari: numero chiuso, torneo semiaperto, formula a tre serie… «Sono state tutte rifiutate culturalmente, calcisticamente ed economicamente. L’Uefa offre il miglior torneo possibile, la nuova Champions a 36 sarà ancora più spettacolare e aperta. Ha visto le feste del Copenaghen per gli ottavi? Doveva arrivare ultimo, s’è qualificato e per loro sembrava Natale. Devono vincere sempre i soliti? Nel calcio no, nel calcio c’è l’impensabile, l’emozione. Non la matematica. Nessuno in Germania andrebbe in Superlega, ci sarebbe una rivoluzione dei tifosi». Il modello americano come totem. «Da noi prevale il merito. Se sei bravo, vinci e guadagni. Lì compri il posto nella Lega perché sei ricco e guadagni anche se non vinci. Non fa per noi». Il calcio è diventato un business? «Io sono vecchio e ho visto tanto: mai immagine, soldi e solidarietà sono stati migliori. Un equilibrio ideale. Appena c’è da spartire gli utili, tutti vorrebbero di più, è vero, ma alla fine ci si accorda. Cambiare per cambiare non avrebbe senso. Bisogna proteggere il calcio e la politica deve aiutare». L’Ue ha aiutato l’Uefa contro la Superlega. «Perché ha capito che un altro modello creerebbe soltanto danni. Il calcio è un fenomeno centrale della vita sociale. Milioni di persone nel week-end vanno allo stadio. Però ora la politica deve capire un’altra cosa. Quando parlavo con il proprietario americano del Liverpool mi diceva: “Perché in America investo e guadagno e qui ogni anno vinco e aumentano i costi?”. Ecco il problema: vinci, incassi, ma stipendi e trasferimenti crescono. Andavo a Bruxelles per chiedere interventi e mi rispondevano sempre no: “Il mercato deve essere libero”. Troviamo il modo intelligente per fermare la corsa al rialzo che piace a chi ha soldi illimitati». Che cosa è rimasto della Superlega? «Due spagnole. La Juve è fuori, almeno così mi sembra. Florentino forse dovevamo capirlo meglio, lui ha una visione soprattutto economica». E se la Corte autorizzasse in tutto la Superlega? «Non andrebbe lontano. Trent’anni fa il sistema avrebbe abbracciato la novità, ora è diverso. Inglesi, tedesche e francesi non parteciperebbero mai. Credo anche le italiane e le spagnole, a meno che non esista qualche presidente che pensa di andare a letto e svegliarsi l’indomani in mezzo all’oro. Potrebbero farsi il torneo Real e Barcellona…».

Avevano bussato anche al Bayern.

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«Sì, ma non sono venuti da me. Hanno provato con Oliver Kahn, il mio successore designato all’epoca. Io, Uli Hoeness e il presidente Hainer abbiamo detto: “Mai con noi! Vogliamo vincere, ma regolarmente”. Anche il Psg la pensava così».

Sorpreso da Agnelli?

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«Non sono più riuscito a parlare con Andrea dalla domenica in cui ha staccato il cellulare. Giravano voci, non veniva a Montreux e non rispondeva. Credo non abbia avuto il coraggio di dire cosa stava facendo. Capisco che il coronavirus abbia forzato i club ad accelerare, qualcuno voleva soldi freschi, ma quella presentazione non è stata professionale. Lui non lo capisco e mi spiace umanamente. Era presidente Eca, era nell’Esecutivo Uefa, era presidente di una Juve tra i cinque top club. Ha perso tutto. Anche l’immagine. Andavamo d’accordo, ma, quando gli dicevo che il calcio non è solo economia, non la pensava come me».

Sarebbe la fine dei campionati?

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«La fine di quelli che conosciamo. Quand’ero all’Inter non c’era partita paragonabile al derby. Lo stesso al Bayern: niente come il Dortmund e ora il Leverkusen. I campionati esistono da una vita, da più vite. Sono le radici del calcio. Blatter mi aveva regalato un albero dicendo: “Kalle, guarda, le radici sono i campionati e le Leghe. Nel ramo più basso le coppe europee, dove vai se ti qualifichi. Poi le nazionali che giocano Mondiali ed Europei. Più in alto Uefa, in Europa, e Fifa”. La Uefa sta facendo il meglio per difendere il calcio nell’interesse di tutti. Con un Esecutivo stabile e un presidente coraggioso come Ceferin. Sa cosa succederebbe se…?».

Se la Superlega esistesse?

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«La Serie A diventerebbe la Serie B e la Bundesliga la seconda divisione. Tornei poveri. E tutto questo sa perché? Per danneggiare la Premier che incassa di più semplicemente perché è più brava. Soprattutto le spagnole: volevano danneggiarla e si sono inventate questo torneo, l’unico che conterebbe. Addio Juve-Cagliari, addio Bayern-Bielefeld».

La Superlega vuole un torneo con le solite note.

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«Sì, ma il piano A, con le top d’Europa, era solo un alibi: il loro obiettivo è inserire arabe, americane, fare un torneo internazionale. Perdere le radici».

Tante proposte senza mai essere chiari: numero chiuso, torneo semiaperto, formula a tre serie…

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«Sono state tutte rifiutate culturalmente, calcisticamente ed economicamente. L’Uefa offre il miglior torneo possibile, la nuova Champions a 36 sarà ancora più spettacolare e aperta. Ha visto le feste del Copenaghen per gli ottavi? Doveva arrivare ultimo, s’è qualificato e per loro sembrava Natale. Devono vincere sempre i soliti? Nel calcio no, nel calcio c’è l’impensabile, l’emozione. Non la matematica. Nessuno in Germania andrebbe in Superlega, ci sarebbe una rivoluzione dei tifosi».

 

L’Ue ha aiutato l’Uefa contro la Superlega.

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«Perché ha capito che un altro modello creerebbe soltanto danni. Il calcio è un fenomeno centrale della vita sociale. Milioni di persone nel week-end vanno allo stadio. Però ora la politica deve capire un’altra cosa. Quando parlavo con il proprietario americano del Liverpool mi diceva: “Perché in America investo e guadagno e qui ogni anno vinco e aumentano i costi?”. Ecco il problema: vinci, incassi, ma stipendi e trasferimenti crescono. Andavo a Bruxelles per chiedere interventi e mi rispondevano sempre no: “Il mercato deve essere libero”. Troviamo il modo intelligente per fermare la corsa al rialzo che piace a chi ha soldi illimitati».

Che cosa è rimasto della Superlega?

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«Due spagnole. La Juve è fuori, almeno così mi sembra. Florentino forse dovevamo capirlo meglio, lui ha una visione soprattutto economica».

E se la Corte autorizzasse in tutto la Superlega?

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«Non andrebbe lontano. Trent’anni fa il sistema avrebbe abbracciato la novità, ora è diverso. Inglesi, tedesche e francesi non parteciperebbero mai. Credo anche le italiane e le spagnole, a meno che non esista qualche presidente che pensa di andare a letto e svegliarsi l’indomani in mezzo all’oro. Potrebbero farsi il torneo Real e Barcellona…».


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