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Lo vedrebbe bene al Milan?
«Lo vedrei benissimo, a patto che...».
Dica pure.
«Vedete, io voglio bene agli allenatori, e vorrei che fossero sempre messi nelle migliori condizioni per potersi esprimere. Qui, intendo al Milan, non ho ancora capito quale sia la catena di comando. Non mi stancherò mai di dire che i successi partono sempre dal club che, con la sua storia e il suo stile, con di più della squadra, e la squadra conta di più del singolo. Il club, quindi, com’è strutturato? Chi decide? Quale politica s’intende perseguire? Thiago Motta va benissimo, perché uno che sta lottando per entrare in Champions League con il Bologna deve per forza aveva qualità superiori. Però bisogna vedere se al Milan l’ambiente è pronto ad accoglierlo con la disponibilità e la pazienza di cui un allenatore ha bisogno».
Lei, spesso, parla dell’importanza della società. Perché?
«Perché ho memoria e ricordo quello che i dirigenti del Milan, da Berlusconi a Galliani, da Braida a Ramaccioni, hanno fatto per me. Io, dopo tre partite, persi Van Basten per infortunio. Altro che Milan olandese! Di olandesi ne avevo uno solo: Gullit. Furono gli altri, gli italiani, a diventare olandesi come mentalità, come spirito di squadra, come disponibilità, come generosità, come altruismo. E il ruolo della società, in questo processo di rivoluzione, fu fondamentale. Berlusconi, in un momento un po’ delicato, convocò i giocatori e disse: “Io ho piena fiducia in Arrigo. Chi di voi lo seguirà, resterà. Chi non lo seguirà, andrà via”. Chiaro, no? Ecco, auguro al prossimo allenatore del Milan, che sia Thiago Motta o un altro, di avere dei dirigenti come quelli che ho avuto io».
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