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Come mai, dopo aver tenuto a lungo il passo dell'Inter, la luce bianconera si è spenta d'improvviso?
—«Non c'è mai un solo motivo, su ogni crisi incide una somma di componenti: qualche calciatore illuso dai risultati può aver smarrito concentrazione, qualcuno può essersi sentito svuotato davanti alla fuga dell'Inter, qualcuno ha accusato banalmente un calo fisico. S'è persa, probabilmente, quella cattiveria che aveva permesso di sopperire alla mancanza di idee».
Davanti all'ostinato made in Italy del pallone, si ritiene ancor di più un rivoluzionario?
—«Ho fatto cose semplici, ma da noi per essere rivoluzionari basta poco. Per fortuna la tendenza sta cambiando: vedo sempre più squadre coraggiose, fondate sulla creatività. Siamo ancora indietro rispetto ad altre scuole, ma qualche passo avanti s'è fatto: a San Siro, contro il mio Milan, tanti allenatori schieravano undici uomini a ridosso dell'area, oggi è diverso: guardate l'Atalanta, da anni stabile nell'alta classifica e con in bilanci in attivo, o il Bologna che pratica un ottimo calcio. Anche la Roma, ultimamente, esprime un gioco propositivo».
Non ha citato alcuna big...
—«Solo perché parlavo di squadre non di prima fascia, capaci di sorprendere con la forza delle idee. Simone Inzaghi, in realtà, è cresciuto molto e l'Inter se continua così, potrà far bene anche in Champions League. L'importante è non sentirsi mai fenomeni. Anche il Milan fa buone cose, cerca il possesso e attacca gli spazi: a Monza, però, ci sono stati troppi errori».
Il discorso scudetto è chiuso?
—«Il vantaggio è cospicuo, ma nel calcio ne ho viste tante. E le coppe internazionali possono rubare energie».
(La Stampa)
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