twinter

C’è derby e derby. Dicono…

Di Nicola Mente

Alessandro De Felice

Il derby di Natale, il “derby dei poveri ”. Perché c’è derby e derby, ci dicono. L’ultima stracittadina alle porte delle Feste fu quella targata dicembre 2007, con gli uomini di Roberto Mancini ad accogliere i freschissimi campioni del mondo rossoneri: Ibrahimovic, Samuel e Maicon da una parte, Kakà, Nesta e Seedorf dall’altra. Altri numeri, altri ingaggi, altre quotazioni. Oggi non è più così, ci dicono. La Serie A ha focalizzato i riflettori più luminosi fuori da Milano, e il derby è diventanto “il derby della carità”, sfruttando la misericordiosa atmosfera natalizia. C’è però da dire che un derby è qualcosa che col concreto (giocatori, formazioni, classifiche ) ha poco a che vedere. No, nessun discorso retorico sulla “partita non come le altre”. Un derby, i derby, sono la sintesi sublime della passione di una città per colori, maglie, e storia. Il derby è come un grande ballo di fine anno, ove tutti (belli e brutti, bravi e non) vogliono presentarsi impeccabili. Ecco forse perché la stracittadina prima di Natale, messa lì per gioco dal calendario, incarna ancor di più questo grande spirito.

Dicono che Milano ultimamente se la passi male, calcisticamente. Ieri sera però, dal palcoscenico scintillante del Meazza, si coglieva tutto fuorché la decadenza. Due curve silenziose, sì, o più che altro ammutolite da chi realmente vuole trasformare questa gioia grezza come un diamante in uno spettacolo non più pulsante, non più vivo, ma semplice vetrina da esposizione. Due curve silenziose ma vive.

Ecco, ieri sera a San Siro il calcio era vivo, e la vita era calcio. Un calcio vivo nelle sue passioni e nei suoi impeti tanto primordiali quanto meravigliosi. Vivo attraverso una protesta civile e unita di due tifoserie che si beccano e si sostengono, consapevoli di non poter fare a meno l’ una dell’altra. Vivo attraverso una rivalità e folklore mai sopiti e mai spenti, anche senza cori, anche senza coreografie. Vivo nonostante due rose ridimensionate e posizioni in classifica non degne. Ieri sera, se ce ne fosse stato il bisogno, il derby ci ha spiegato per l’ennesima volta che si possono vendere i giocatori, martorizzare le curve, multare le società e scendere in graduatoria, ma mai morirà la passione che valica anni, fortune, e sfortune. E non importa se in campo c’è Jonathan e non Maicon, Muntari e non Seedorf. Quel che davvero conta qui, nella tana del derby più importante di tutti, è tutto ciò che gira attorno a quel rettangolo verde. Perché ormai siamo abituati ai “soldi che girano attorno al calcio”, quando in realtà soltanto persone, passioni, e vita.