twinter

Cambiasso: “Triplete, tutti lo vogliono ma solo noi l’abbiamo fatto”

Eva A. Provenzano

A Drive Inter oggi è toccato a Cambiasso. Il centrocampista argentino, ai microfoni di Nagaja Beccalossi per InterChannel ha parlato di sè e dell’Inter. Vi riportiamo le sue parole:  GLI ULTIMI ANNI DELL’INTER – “Sono...

A Drive Inter oggi è toccato a Cambiasso. Il centrocampista argentino, ai microfoni di Nagaja Beccalossi per InterChannel ha parlato di sè e dell'Inter. Vi riportiamo le sue parole: 

GLI ULTIMI ANNI DELL'INTER - "Sono stati anni di consacrazione, in cui sono stati realizzati tutti i sogni di quando sono arrivato qui. E neanche il più ottimista poteva pensarlo. Ti aspetti le difficoltà più grosse all'inizio, piano piano siamo cresciuti e abbiamo iniziato a vincere la Coppa Italia, la Supercoppa, lo scudetto e siamo arrivati a vincere tutto in un anno. Ed è difficile una volta toccata la cima pensare agli anni difficili che sono arrivati dopo. E' più difficile vincere tutto. Nessuno lo ha mai fatto in Italia, poche volte è stato fatto in Europa. E' un obiettivo troppo alto, credi che si possa ripetere, ma non è così facile, tutti vorrebbero farlo. Un giorno Crespo mi disse, non tutte le stagioni finiscono con il pullman scoperto. In nove stagioni c'è sempre stata una vittoria, quando hai questa abitudine è difficile lasciarla, la cosa più normale è non vincere". 

10 ANNI ALL'INTER - "Se mi aspettavo di restare così tanto? Non credevo! Il giorno della presentazione c'erano due-tre giornalisti e mi chiedevano cosa era venuto a fare qui e io ho detto che avrei fatto il mio meglio per contribuire ad arrivare a successi che non erano arrivati. Ma non credevo che avrei fatto tanti anni all'Inter. Sono riuscito a fare quello che ho sognato. Li ho realizzati tutti i miei sogni. Direi le stesse cose che ho detto allora anche oggi. Al mio fianco c'era Giacinto. Era uno che più che dire, faceva. Le sue parole erano poche, i fatti tanti e da quelli capiva chi era, un esempio". 

L'OCCASIONE -"Ho avuto un percorso strano. Ho giocato nel settore giovanile nella Nazionale Argentina. Nel '95 mi sono venuti a trovare i dirigenti dell'Ajax e mi volevano portare in Europa e per un discorso familiare ho detto di no. Poco tempo dopo ha bussato il Real Madrid, cambiava non tanto per il club, ma per un discorso di ambientamento e anche i miei genitori avevano meno dubbi. Dopo due anni sono tornato poi in Argentina, perché mi sentivo rallentato nella carriera a giocare nella squadra B del club spagnolo e lì l'allenatore dell'Indipendiente è stato fondamentale. Dopo quattro anni all'Indipendiente, poi al River, dove ho vinto il primo titolo, sono tornato al Real e ho esordito in Supercoppa a Montecarlo, una soddisfazione grossa. Il Cambiasso scuola-Ajax come sarebbe stato? Anche le squadre argentine hanno la cultura del bel gioco, del tenere il pallone tra i piedi. Ogni tanto torno a fare visita alle mie ex squadre".

TROFEI - "Me li ricordi tutti, anche quelli che ho sfiorato. Il trofeo a cui sono più legato è il Mondiale Under20 perché quello è il periodo in cui hai più sogni ed è il massimo a cui puoi pensare. Per me allora era il massimo in assoluto. Il primo scudetto vinto sul campo con l'Inter, sapevo quanto gli interisti lo aspettassero e non potevo essere al di fuori del pensiero dei miei tifosi. Questa sintonia con loro, con le loro aspettative, è importante per i traguardi. E poi la notte di Madrid, la Champions era un sogno da anni". 

L'ITALIA - "Mi è successo tutto in maniera veloce. Per un sudamericano il traguardo è giocare nel proprio Paese e poi come prime opzioni ci sono Italia e Spagna e io per questo dissi no all'Ajax, anche se fosse arrivata l'Inter prima del Real avrei detto si. Per noi Italia-Spagna sono punti di arrivo. Prima di venire all'Inter potevo andare anche in Russia, ma mi ha convinto il fatto che qui c'era da vincere tutto e per fortuna lo abbiamo fatto. Ormai quando parto dall'Italia mi manca, ho amici qua, ci sono tante cose che mi mancano. Non c'è solo la nascita di mia figlia che mi lega a questo Paese, ci sono tante cose e l'Italia la amo come l'Argentina".

ALLENATORE - "Oggi penso al campo. Sono più gli altri ad immaginarmi come allenatore. Loro più di me ci pensano. Per fare qualsiasi cosa in ogni caso bisogna prepararsi. Ho fatto tutto per giocare a calcio e se vorrò continuare in questo mondo dovrò prepararmi. Il ruolo dell'allenatore è sicuramente meno determinante rispetto a quello che fanno i calciatori. La difficoltà più grossa è conoscere i giocatori perché ognuno è diverso e questa è una cosa che quelli che fanno l'allenatore il lunedì non la sanno. C'è un grosso salto da giocatore ad allenatore e per quello bisogna essere preparati".

GOL - "Sono la cosa più bella, è l'emozione massima, tutti esprimono gioia quando segnano. Io non riuscirei mai a non esultare. La cosa che mi piace è che i miei gol difficilmente arrivano quando vinciamo, arrivano quando la squadra è in difficoltà. Magari sono meno belli i gol, ma siccome ogni gol conta uno mi interessa segnare e esulto anche ai gol brutti. Non siamo mica in un campo di basket in cui i punti sono diversi a seconda del punto del campo in cui si segna. Fino a che non cambia regolamento, a me i gol piacciono tutti. Il più brutto l'ho fatto contro il Genoa, una girata di destro con la complicità del loro difensore. Però era un gol importante lo stesso e ho festeggiato eccome". 

I TIFOSI - "Sapere per chi ti alleni, per chi lotti in campo è sempre importante. Ti dà una spinta in più".