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Cambiasso: “Via 8, dentro altri 8: dov’è il gran risparmio? Altra italiana mai!”

Nell’edizione odierna de La Repubblica, una bella intervista del giornalista Andrea Sorrentino al centrocampista nerazzurro Esteban Cambiasso. Il Cuchu ha parlato ampiamente della sua carriera all’Inter e del futuro che non sarà...

Francesco Parrone

Nell'edizione odierna de La Repubblica, una bella intervista del giornalista Andrea Sorrentino al centrocampista nerazzurro Esteban Cambiasso. Il Cuchu ha parlato ampiamente della sua carriera all'Inter e del futuro che non sarà sicuramente lontano dai campi di calcio: «Mi vede forse allarmato? Angosciato? È fine marzo, ho il contratto in scadenza e non ho firmato con nessuno, eppure sorrido. E lei non se lo spiega eh...?»

Lei è qui dal 2004: può dunque ratificare il crollo del livello della serie A? «Inutile girarci intorno: il livello del gioco dipende dai calciatori, e i più bravi hanno due qualità principali: la tecnica superiore e la capacità di leggere il gioco. Senza di loro il livello si abbassa. L’intensità agonistica invece qui ci sarà sempre: te la dà la gente, in Italia conta solo vincere e del divertimento non frega niente a nessuno, è una mentalità radicata. Ci sarà un perché se Machiavelli è nato qui, no? Comunque la sofferenza economica non è un fatto di oggi. Da quanto un club italiano non porta via a una rivale straniera il suo miglior elemento? Almeno dal 1997, Ronaldo all’Inter dal Barça. Tuttora la Juve non potrebbe avvicinarsi al migliore del Real, mentre il Real può pensare tranquillamente, che so, a Pogba. Ma ricordiamoci che l’Inter del Triplete nacque con gente che i grandi club non volevano più: il Real negli anni mollò me, Samuel e Sneijder; il Barcellona, Eto’o; il Bayern, Lucio... Certe dinamiche sono in atto da tempo, solo che adesso se ne parla perché non arrivano più i risultati. E badi bene: da straniero non mi permetterei di parlare così, lo faccio perché mi sento davvero italiano».

In cosa è consistita l’unicità di Moratti?«Nel fatto che è difficile isolare la storia della sua famiglia dall’Inter. Uno degli esempi è sua sorella Bedy, ci ha seguito ogni giorno per anni, in ogni ritiro e in ogni amichevole, come una sorella. Moratti era alla Pinetina da adolescente, qui ci sono le foto, e nel mio cuore c’è il ricordo di lui che viene qui il sabato alla rifinitura e palleggia col nipotino... Ci ha resi tutti parte della sua famiglia, il che ha aumentato le nostre responsabilità: capivamo quanto ci tenesse».

Intanto sta finendo anche il vostro ciclo. «I cicli finiscono, è la vita. Poi avverto in giro questa necessità di far smettere quelli che hanno vinto tutto con l’Inter e vabbè… Dicono che sia per i costi. Ma quando leggo che l’Inter risparmierà coi nostri contratti cosa vuol dire, che il prossimo anno qui ci saranno 15 giocatori? Se ne escono 8 ne devi prendere altri 8, no? Allora dov’è il risparmio? Per ora non ho sentito nessuno della nuova proprietà e nemmeno altri club. L’unica certezza è che continuerò a giocare, perché le risposte che ho dal mio corpo mi rassicurano. In dieci anni ho giocato quasi sempre oltre 40 gare all’anno: forse è per questo che c’è chi è stanco di me, vedono la mia faccia da tanto... Pensano che io sia molto più vecchio di Pirlo o Xavi ma mica è vero, e in giro per l’Europa è pieno di 33enni come me, o più anziani. All’Inter ne abbiamo già preso uno di 32 anni (Vidic, ndr)...».

Abbiamo un pregiudizio sugli anziani, dunque?«Anche sui giovani. È un problema concettuale: non si riesce a capire che questo è un gioco e c’è chi lo gioca bene e chi male, e non lo decide la carta di identità. Uno di 19 anni o di 33 non ti fa perdere o vincere a prescindere, sennò tutti giocherebbero coi 28enni. Poi è chiaro che le partite si soffrono, mica finiscono al 40’ sul 3-0 per te: si giocassero senza soffrire, Pirlo potrebbe continuare fino a 70 anni».

Beh almeno quest’anno, senza coppe, le si è allungata la carriera... «È stato il mio primo anno senza coppe e giuro: è molto più stancante arrivare nono in classifica che giocare in Europa... Mentre la cosa più appagante non è la vittoria, che è effimera: giochi e vinci la finale, alzi la coppa, festeggi e finisce lì. Il bello è il percorso, la strada per arrivarci: è ciò che ti appassiona e ti fa vivere».

Se l’Inter non le offrisse il prolungamento, rimarrebbe in Italia?«Impossibile. Non riuscirei ad ascoltare una proposta di altri, ma mica perché non li rispetto. Qualsiasi cosa accada nei prossimi anni, la mia storia d’amore l’ho vissuta qua. Non potrei immaginarmi altrove. Non oso immaginarmi a sfidare l’Inter per lo scudetto, o in un derby... per carità».

Quando fra cent’anni smetterà, farà l’allenatore?«Non so, di sicuro il calcio è la mia vita e ci rimarrò. Ho avuto tanti allenatori, da Menotti a Del Bosque a Mancini, Mourinho... Vorrei prendere qualcosa da tutti. In particolare Mancini e Mourinho ma pure Leonardo, che qui fece un ottimo lavoro. Sarà anche indeciso se essere dirigente o allenatore ma nell’indecisione, nel frattempo ha allenato Milan e Inter, è stato direttore di tutto al Psg, e oggi che vuole tornare in panchina magari avrà dieci club che lo vogliono. Leo è versatile e intelligente: la vita è una, se la passione ti porta a fare dirigente o l’allenatore o tutti e due, perché negarsi il piacere?».

Arrivederci Cuchu, e non stia preoccupato eh?«Ma va là. Guardi perché non sono preoccupato». Dalla schermata del telefonino una bambina di cinque anni e un maschietto di sei mesi, le teste vicine, sorridono furbetti. Tutti loro padre.