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Due anni, quattro mesi e venti giorni. Poi…

Come ogni bravo postino, l’Inter suonava sempre due volte, ma dopo 2 anni, 4 mesi e 20 giorni arrivò l’atteso terzo rintocco. Quello che annunciava il sopraggiungere della rivoluzione manciniana, lo squillo che donò ai nerazzurri sogni di...

Alessandro De Felice

Come ogni bravo postino, l’Inter suonava sempre due volte, ma dopo 2 anni, 4 mesi e 20 giorni arrivò l’atteso terzo rintocco. Quello che annunciava il sopraggiungere della rivoluzione manciniana, lo squillo che donò ai nerazzurri sogni di speranza dopo periodi di vacche severamente sottopeso. Qualche almanacco calcistico del 2050 potrebbe descrivere così l’attuale momento dell’Inter, riportando alla memoria Palermo, Atalanta e Cagliari come il trittico del risorgimento nerazzurro. Ma quanta sofferenza…

Cambiamento ed evoluzione devono inesorabilmente stringere la mano a periodi più o meno lunghi di fisiologico adattamento. Non è certo l’Inter che può sottrarsi alle leggi imposte dalla natura o probabilmente da qualcosa di ancora più profondo. Così la maturazione passa anche da partite illogiche - come quella vista ieri sera – in cui l’Inter soffre, sbanda e arranca, ma alla fine porta a casa il bottino pieno per guardare avanti con maggiore ottimismo.

Contro il Cagliari l’Inter mette a nudo pregi e difetti di una personalità ancora da plasmare totalmente e anche Mancini mostra pecche sulle quali dovrà riflettere con umiltà. Il tecnico jesino ha lavorato bene sulla testa dei propri ragazzi, facendoli compiere un notevole salto di qualità sotto il profilo del gioco, ma ancora molto può fare in relazione alla gestione delle risorse. Se nel calcio furono introdotte le sostituzioni un motivo ci sarà. Sarebbe anche il caso che iniziasse a prenderle in considerazione prima dell’ottantesimo, perché i rischi presi contro il Cagliari possono essere figli della disattenzione, ma probabilmente anche di un calo fisico post competizione europea.

Contro i sardi è finito in panchina un Ranocchia in condizioni fisiche precarie. Al suo posto Vidic ha mostrato maggiore tranquillità, non facendo comunque mancare sbavature anche abbastanza grossolane per un calciatore del suo livello. Segnali incoraggianti, invece, arrivano da Fredy Guarin. Il colombiano non affonda quando il Cagliari alza la voce e dimostra di aver imparato a soffrire con la squadra. La sua è una trasformazione ancora in atto, perché non bastano poche partite giocate bene per emettere un giudizio definitivo, ma la strada intrapresa dall’ex Porto sembra quella giusta. Gol a parte, non si può dire altrettanto di Mateo Kovacic. Il croato sblocca una gara che sembrava stregata, ma per il resto del match si estranea, quasi si allontana dalle zone di maggior densità. Come a volersi estromettere da eventuali complicazioni, ma di fatto è proprio quello che gli chiede l’Inter: prendersi maggiori responsabilità quando la squadra soffre.

La sensazione è che l’Inter sia così brava con la palla tra i piedi, quanto superficiale e pericolosa in fase di non possesso. Mancini dovrà trovare il giusto equilibrio, nella speranza che due difensori di spessore possano presto iniziare a comandare un reparto in piena crisi d’identità.