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Lo so. Il mio potrebbe apparire soltanto come un pregiudizio. Arriva il tycoon indonesiano e si pappa l’Inter, a suon di dollari, o rupie, o altre valute. Si chiama Thohir, sappiamo poco di lui, e quel che leggiamo ci fa un po’ impressione, visto che stiamo parlando di un imprenditore rampante nel settore delle televisioni private e dei giornali, e questo ci ricorda qualcosa di molto familiare. Ripeto, sono pregiudizi riprovevoli.
I soldi nel calcio moderno sono fondamentali, e ce ne vogliono tanti, tantissimi. Lo sa bene Massimo Moratti, che ne ha spesi al di là di ogni ragionevole passione umana. Non oso immaginare i discorsi in famiglia, con moglie e figli, ogni volta che si devono fare i conti di casa, o i progetti per il futuro. E dunque quando arriva un Paperone di questo genere, già abituato a comprare squadre intere (magari non di grande successo, come la D.C. United che mi risulta in coda alla classifica del fenomenale soccer made in Usa) è logico che la tentazione sia fortissima. Erick Thohir a 43 anni potrebbe diventare il deus ex machina della nostra squadra, della nostra passione più libera e profonda. E noi, dico noi tifosi, nulla ci potremmo fare, perché il nostro Presidente Massimo ha tutto il diritto di decidere liberamente, specie adesso, che tutto sembra consigliarlo a vendere, a liberarsi di ansia, critiche, debiti, bizze di giocatori e dirigenti, ironie di giornalisti, predicozzi dei tifosi più o meno organizzati.
Se domani mattina Moratti annunciasse di aver venduto l’intera società nessuno di noi potrebbe ragionevolmente obiettare alcunché. Ci ha portato sul tetto d’Europa, ha coronato un sogno e un destino, ha tenuto duro negli anni vergognosi di Calciopoli, ha ereditato un compito ingombrante da un papà leggendario. Ha fatto la storia dell’Inter, con quel sorriso che sbuca fuori dalle lunette degli occhiali a mezz’altezza, con quel frasario pieno di anacoluti e di mezze parole smozzicate, strappate in entrata e in uscita dalla Saras, quasi mai un ragionamento completo e lineare, eppure magicamente in grado di comunicare a tutti noi emozioni, speranze, empatia, sofferenza, ma anche soddisfazioni, gioie inattese, umanità, solidarietà, rispetto, moderazione. Moratti è parte larghissima della nostra idea di Inter. Ed ecco perché adesso resto in apnea, incapace di decidere se sarei contento oppure no, di fronte alla notizia dell’ingresso fortemente maggioritario di un nuovo padrone dell’Inter, così diverso dal Massimo.
So bene che la nostra società ha bisogno di una iniezione forte di nuove risorse economiche se vuole tornare a essere competitiva e vincente, con i conti in ordine, con investimenti adeguati, con un management degno del suo rango, con campioni motivati e ben guidati. Ma ho paura di un’Inter ridotta semplicemente al rango di grande “brand” internazionale. Un marchio vincente in Indonesia, dove pare che tutti stiano tifando per i nostri colori (meglio se con maglia rossa).
Ma l’anima e l’identità? Siamo noi la storia? O non lo siamo più? Che voce ha Thohir? Che cosa pensa? Che cosa si aspetta dall’acquisto di una squadra nata nel 1908 da una costola del Milan? Sarebbe in grado di ridere sentendo le registrazioni delle frasi storiche di Peppino Prisco? Si commuoverebbe rivedendo le immagini del Cipe? Sono inguaribilmente romantico, certo. Ma il calcio è questa roba qua. Non quella roba là. Ecco perché capisco, in queste ore, il tormento di Moratti.
Certo, è anche una questione di conti, di valutazione del debito globale, dell’esposizione con le banche. Ma non può essere solo questo. Occorre trovare un punto di equilibrio, un asset convincente e credibile, che non ci faccia improvvisamente apparire estranea quella società che ci ha fatto impazzire di gioia e imprecare di delusione, ma che ogni volta ci ha fregati per amore. Un amore lungo 105 anni. Moratti, se hai bisogno di aiuto, chiedilo. Non sei solo. Anche se mai come adesso, sembra che tutto gravi sulle tue spalle. La via di mezzo, spesso, è la migliore. Provaci.
Franco Bomprezzi
@Bomprezzi
Franco Bomprezzi, nato a Firenze nel 1952, giornalista e scrittore. Vive in sedia a rotelle per gli esiti di una malattia genetica. Ha lavorato in quotidiani, agenzie di stampa, portali internet. Attualmente free lance ed esperto di comunicazione sociale. Editorialista del magazine “Vita”, cura il blog “FrancaMente”; per il Corriere della sera scrive nel blog “InVisibili” e modera il forum “Ditelo a noi”; ha scritto “La contea dei ruotanti” (1999) e “Io sono così” (2003). Ambrogino d’Oro nel 2005, è stato nominato Cavaliere della Repubblica il 3 dicembre 2007 dal presidente Napolitano
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